In un Paese in cui si fanno le barricate per una norma che permette la cogenerazione industriale come già fanno tutti gli altri Paesi e come tutto il mondo sostiene attraverso finanza e incentivi, sarà difficile trovare il coraggio di avviare un piano strategico sugli energetici che soddisfi le esigenze economiche (non solo delle imprese ma anche dello Stato, ovvero anche dei cittadini che lo compongono) e al contempo anche quelle ideologiche. Pensare che San Marino possa sostenersi senza risorse primarie e importando – quindi pagando – qualsiasi cosa gli serva, è utopia. C’è poi la grande contraddizione di fondo, ovvero chiedere un impatto ambientale minore, ma non essere disposti ad accettare alcuna tecnologia che permetta di raggiungere quello scopo.
Il problema non sarebbe nemmeno quello, semmai è la percezione che si ha della gravità della situazione creatasi di completa dipendenza energetica dall’esterno. E in un Paese dove, pur senza alcun impianto di produzione di energia, di smaltimento dei propri rifiuti, di depurazione delle acque, le bollette domestiche sono ancora basse rispetto al circondario (Italia, ndr), è molto facile pensare e dire che non serve questo genere di impianti in territorio. Al contrario, per le imprese (le cui tariffe sono più alte) che si muovono ogni giorno sui mercati in competizione con chi, negli altri Paesi, gode di costi spesso più bassi, la sensazione è diametralmente opposta.
Eppure basterebbe poco: impianti proporzionati al sistema, investimenti contenuti e tecnologie già testate altrove e ritenute virtuose. Servono solo idee, non ideologie.