Home Notizie del Giorno Visto per voi a teatro: “Re Chicchinella” di Emma Dante

Visto per voi a teatro: “Re Chicchinella” di Emma Dante

da Alessandro Carli

I topoi ci sono tutti, nell’eccezione che – in circa 25 anni – sono diventati una firma: il colore nero, il cerchio di persone che ruotano attorno a un elemento totemistico (“mPalermu” o “Carnezzeria”?), l’attenzione al tempo e agli spazi. Con “Re Chicchinella”, passato sulle assi del teatro Bonci di Cesena dal 24 al 27 ottobre, Emma Dante ha chiuso – in maniera meravigliosa – la trilogia dedicata al Giambattista Basile di “Lo cunto de li cunti”, iniziata nel 2017 con “La scortecata” e proseguita nel 2021 con “Pupo di zucchero”.

L’artista palermitana, in un’ora di atto unico, conferma di avere le idee chiare su “cosa fare” sul palco: raccontare una verità soggettiva (quella dell’autore campano Basile) attraverso la sua soggettività di regista, spostando il significato del colore nero dello scrittore partenopeo (lutto da affrontare e da esorcizzare per tornare alla luce) a quello della sua Sicilia, lutto da vivere come una colpa infinita e assenza di luce.

La fiaba adattata alla scena è una fiaba nera, a tratti comica, dove il re del titolo – lo diciamo subito prima di dimenticarcene – è Carlo III d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, principe di Giugliano, conte d’Orleans, visconte d’Avignon e di Forcalquier, principe di Portici Bellavista, re d’Albania, principe di Valenzia e re titolare di Costantinopoli, interpretato da un magistrale Carmine Maringola (foto: Masiar Pasquali).

Re che diventa “chicchinella” (in dialetto napoletano significa “gallina”) quando, dopo una “stretta” urgenza dal popò, non trovando la carta igienica, si pulisce con le piume di una pollastrella che passava di là. Chioccia che, la platea lo scopre velocemente, scambia il culo del Re per un pollaio e decide di trovarvi rifugio. Fosse solo che la gallinella è piuttosto generosa e reale: fa le uova sì come tutte le galline della sua razza, ma con una particolarità: sono d’oro quindi oggetto di desiderio da parte della sua corte di lacchè, cocotte e tirapiedi, rigorosamente antropoformizzata in “coccodè” ma anche di dolore del sovrano che “da lì” le deve far fisicamente uscire.   

L’ambientazione, minimalista ma essenziale, è quella – ma spogliatissima – di “Enrico IV” di Pirandello: lì la finta pazzia “in costume” e la sofferenza della recita consapevole e carnascialesca (Romolo Valli, nella meravigliosa versione della Compagnia dei Giovani, con le gote dipinte di rosso), qui invece – oltre ai costumi – il supplizio di una carnevalata ostentata, puntellata, ingorda. Scandita da risatine e urletti in falsetto, la messa in scena viene allestita per convincere il re, riluttante (chissà perché?), a mangiare e quindi a sfornare le uova auree.

Una nuova “famiglia disfunzionale”, quella di questo interessante “Re Chicchinella”, forse non “sporca” come quelle di altri lavori precedenti di Emma Dante (probabilmente perché la “sporchezza” è ben presente nelle defecazioni dorate del reale) ma non per questo meno incisiva: in sessanta minuti il “gioco degli opposti” riecheggia dentro gli spettatori – risata e malinconia, divertimento e compassione -, impreziosito anche da una canzone cantata da Franco Battiato, “Passacaglia”.

Sipario.

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