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Speciale cultura: il Santo Marino nella pittura

da Alessandro Carli

Secondo la tradizione, Marino morì sul Monte Titano il 3 settembre 366 d.C., probabilmente novantenne.

Nel corso dei secoli molti artisti si sono confrontati con le fattezze del fondatore del Titano. E le correnti di pensiero possono essere riassunte in due filoni: prima del XVIII secolo è stato riprodotto con un aspetto decisamente giovanile mentre solamente in seguito è stato rappresentato – ed è forse la sfumatura più conosciuta sul Monte – come un uomo anziano con la barba bianca. Sono invece rimasti invariati negli anni i simboli del suo lavoro: la leggenda narra che fosse scalpellino, e quindi molti dipinti lo vedono con gli strumenti del mestiere, ma anche nell’atto di ammaestramento dell’orso. Con grande frequenza poi lo si vede mentre regge il monte Titano, con le sue tre rocche.

Tra le tante opere d’arte che lo vedono protagonista, ce n’è una che è ancora avvolta nel mistero, e che vede a confronto le teorie e le supposizioni di innumerevoli studiosi, che cercano di interpretare e di capire la “mano” e la firma dell’autore. Il quadro, posizionato all’interno del Palazzo Pubblico, si trova nella Sala del Consiglio dei XII: è un olio su tela, datato 1650 circa. Fu acquistato nel 1927 e raffigura il Santo Marino che benedice la città. Un’immagine familiare ai cittadini di San Marino, visibile, in una bella riproduzione, anche nel centro storico. In zona “Via Salita alla Rocca”, sotto a un capitello e nelle strette vicinanze di una fontana, il fondatore osserva i turisti camminare.

Ma torniamo nel Palazzo, ristrutturato dall’archistar Gae Aulenti, che controlla il Pianello. Il quadro del Santo porta con sé un segreto e un enigma: chi lo dipinse? Forse quel Bartolomeo Gennari, uno degli allievi più dotati del Guercino? Recenti studi portano al Maestro. Sì, esattamente Giovanni Francesco Barbieri. Il Santo – quasi a voler rafforzare la paternità dell’opera – è stato raffigurato su molte monete sammarinesi ed attualmente una sua effigie, ispirata ad una tela del Guercino, è impressa sulle monete da 20 centesimi.

Il Guercino però non fu l’unico artista (anche se forse è il più celebre) che ebbe a che fare con il fondatore. Tante, tantissime sono le opere d’arte – dipinti ma anche sculture – che lo rappresentano. Merita grande attenzione il “Polittico di San Marino” del pittore rinascimentale Francesco Menzocchi, custodito all’interno del Museo di Stato.  

Altrettanto celebre è il “San Marino risolleva la Repubblica” di Pompeo G. Batoni. L’opera, custodita anch’essa al Museo di Stato, raffigura San Marino che risolleva la personificazione della Repubblica. Il santo, fondatore della Repubblica, in una chiara allegoria dei fatti accaduti nei mesi precedenti, tiene per mano la Repubblica e la sollecita a rialzarsi, mentre dietro un paggio tiene in mano un elmo, simbolo di potere. Il tutto sullo sfondo del monte Titano con le tre torri di San Marino, la Rocca, la Cesta e il Montale, che sono anche simboli della Repubblica e rendono riconoscibile anche da lontano il profilo del monte su cui sorge la capitale della Repubblica. L’opera, un olio su tela (cm 234 x 160) donata da Antonio Ruffo, Principe della Scaletta e duca d’Artalia nel 1891, fu commissionata dall’abate sammarinese Marino Zampini nel 1740 per ricordare una pagina della storia del Titano. Nel 1739, le truppe del cardinale Giulio Alberoni avevo occupato la piccola Repubblica di San Marino per annetterla allo Stato Pontificio. L’operazione riuscì, ma a seguito del malcontento della popolazione e del timore che le potenze europee alleate di San Marino avessero potuto intervenire per liberare la Repubblica, il Papa, l’anno successivo, impose di ritirare le truppe e di lasciare libera San Marino.

L’abate si rivolse al giovane e già molto stimato artista, che però non volle dipingere una semplice figura del santo fondatore della Repubblica. Il dipinto fu eseguito in un tempo di sei mesi e presentato al Cardinale il 10 settembre 1740, costò la cifra non esigua di 150 scudi e 15 baiocchi.

Approfonditi studi rivelano che sotto l’apparente disinvoltura compositiva si nasconde, oltre ad un lungo studio formale (peraltro documentato da due splendidi disegni preparatori: Firenze, Uffizi, e Londra, Windsor Castle – Royal Library), una grande quantità di particolari simbolici: dal frammento architettonico in primo piano rappresentante l’antichità della Repubblica e insieme la sua passata rovina, allo scettro di legno che la donna tiene nella sinistra significante una “regalità” povera, al paggio che è pronto a restituirle l’elmo (l’esercizio del dominio), alle tre torri sullo sfondo, illuminate da un raggio di sole da sempre l’emblema più esplicito e tradizionale dello Stato.

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