Il confronto sulla riforma del mercato del lavoro è arrivato a una fase decisiva e, al di là delle posizioni contrapposte, ci sono ancora i margini perché il testo presentato venga migliorato in funzione di una maggiore competitività delle aziende e del sistema. Il problema non è tanto il ruolo diverso che hanno, legittimamente, i sindacati e le associazioni datoriali, ma il punto di partenza da cui far dipendere i vari ragionamenti, e soprattutto gli obiettivi che si intende raggiungere.
I dati, allora, sono fondamentali: a San Marino non esiste un problema disoccupazione, visto che il tasso è sotto al 3% da mesi ed è il più basso del mondo. E non esiste nemmeno un problema precarietà: oltre l’80% dei contratti di lavoro sono a tempo indeterminato ed è un dato in forte crescita negli ultimi anni, vuoi perché è entrato a regime il limite dei 18 mesi per la stabilizzazione, vuoi perché le aziende – in particolare quelle industriali – hanno spesso rinnovato o stabilizzato i contratti a tempo determinato. E non c’è il problema del salario minimo, come invece ha l’Italia: avendo solo contratti unici di settore, il tema non esiste. E sulle tutele dei lavoratori, per voce della stessa ILO, San Marino è da anni all’avanguardia su questo fronte.
Il problema, semmai, è dalla parte delle imprese che si confrontano sui mercati internazionali e dove i loro competitor hanno strumenti di flessibilità che sul Titano non ci sono o che si vorrebbe limitare. Inoltre, anche in prospettiva di una maggiore integrazione in Europa, l’auspicio è che si riesca sfruttare l’occasione per allinearsi alle regole e agli strumenti degli altri Paesi.