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Banca di San Marino, cosa attendersi per il 2023?

da Denis Manzi

Un altro anno è passato. Il 2022 si è rivelato estremamente complesso per gli investitori. Infatti, sebbene la crescita economica si sia mantenuta generalmente a valori non disdicevoli, l’importante aumento delle pressioni inflazionistiche ha richiesto alle banche centrali un repentino cambio di atteggiamento, costringendole a passare da approcci fortemente espansivi ad approcci restrittivi, a cui i mercati finanziari non erano più abituati. La difficile situazione geopolitica, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, altro non ha fatto che gettare benzina sul fuoco e pertanto, come risultato, l’anno è stato contraddistinto da performance negative – sebbene non drammatiche – sui mercati azionari mentre, per quanto riguarda i mercati obbligazionari, il resoconto è stato decisamente più severo, con sostanzialmente tutti i sottosettori, anche quelli meno volatili, che hanno registrato andamenti estremamente negativi, appesantiti da tassi di interesse in forte aumento e livelli di partenza che non fornivano un cuscinetto di protezione. In effetti, il 2022 si è rivelato l’anno peggiore dagli anni ’30 del 900 per un classico portafoglio bilanciato, con risultati attorno al -20%.

Anche l’ultimo mese dell’anno, nonostante la consueta rarefazione dei volumi tipica della stagione natalizia, si è chiuso sulle orme delle tendenze vissute durante tutto il 2022, pertanto con negatività diffusa (tabella performance) ed è stato caratterizzato dai rialzi dei tassi della Banca Centrale Americana, che ha portato quelli di riferimento nel range 4,25%-4,5% (a fine 2021 il range era 0%-0,25%) e di quella Europea, che li ha alzati portando quello sui depositi al 2% e quello sulle aste principali al 2,5% (che a fine 2021 erano rispettivamente a -0,5% e 0%).

Nel prosieguo, andremo a riepilogare in breve quelle che sono le nostre previsioni macroeconomiche e sui mercati finanziari per l’anno appena iniziato.

QUALI SONO LE PROSPETTIVE PER IL 2023 SUL FRONTE MACROECONOMICO?

La crescita economica mondiale, dopo essere calata nel 2022 rispetto al 2021, anche per il 2023 è prevista in discesa, sebbene vi saranno delle divergenze importanti tra le varie aree geografiche. Infatti, sebbene la crescita dei principali paesi sviluppati si manterrà generalmente a livelli inferiori a quelli potenziali, la probabilità di assistere ad una vera e propria recessione economica è sicuramente maggiore per Eurozona e Regno Unito, a causa principalmente del caro prezzi che ha influenzato e continuerà ad influenzare negativamente la spesa per consumi degli individui, mentre per quanto riguarda gli USA, sebbene non sia da escludere una possibile recessione, è molto probabile che essa sarà meno ampia e più breve, grazie alla resilienza del mercato del lavoro.  Per quanto riguarda i mercati emergenti, molti di essi sono riusciti preventivamente ad adottare una politica monetaria restrittiva, riuscendo pertanto a resistere relativamente bene all’urto del calo della crescita globale e dell’irrigidimento delle condizioni monetarie e, salvo rari casi, non si notano squilibri macroeconomici importanti, il che fa pensare che l’area, nel suo complesso, potrebbe contribuire positivamente alla crescita mondiale. Tuttavia, sebbene l’andamento dell’area nel suo insieme si rivelerà chiaramente eterogeneo, sarà la Cina a fare la parte del leone ed il paese del dragone, gravato da una politica “zero covid” e da problemi sul settore immobiliare, offrirà un andamento volatile, guidato appunto dalle decisioni del partito comunista e soprattutto del riconfermato leader XI Jinping. La crescita cinese, sebbene prevista in territorio positivo, dovrebbe registrare un’accelerazione solamente dal secondo semestre e soltanto se le politiche economiche, e soprattutto quelle contro il virus, lo consentiranno.

Fonte: Elaborazione BSM su dati IMF

I rischi, a livello generale, rimangono al ribasso e di difficile stima. L’andamento economico – oltre ad essere guidato da fattori geopolitici di impossibile previsione sia in Russia sia nell’area di Taiwan, senza mai dimenticare la questione mediorientale – sarà fortemente influenzato dalle traiettorie dell’inflazione, soprattutto dai prezzi dell’energia, e dagli atteggiamenti delle banche centrali. Se infatti l’inflazione, guidata da fattori esogeni come appunto l’energia dovesse costringere le banche centrali a proseguire nelle loro azioni restrittive, un’economia globale fortemente indebitata soffrirebbe particolarmente e la recessione sarebbe scontata.

Attenzione sempre alta, inoltre, agli sviluppi della pandemia da covid-19, che non è ancora stata debellata e che potrebbe rialzare la testa nella stagione invernale.

I livelli di inflazione, saliti nel 2022 a valori che non si vedevano dagli anni ’80 per cause sia esogene (i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento causati dalla pandemia ed il rialzo dei prezzi energetici dovuti in parte al conflitto russo-ucraino) che endogene (ad esempio gli elevati stock di risparmi che gli individui avevano accumulato nel periodo della pandemia e che ora stanno spendendo) dovrebbero gradualmente rientrare a livelli più vicini a quelli che sono i target delle principali banche centrali, in parte grazie ad effetti di base, in parte grazie alla graduale risoluzione dei problemi sul fronte dell’offerta e, ultimo ma non da ultimo, anche grazie alla diminuzione della domanda aggregata, tanto cercata dalle banche centrali. Tuttavia, non sono da escludere recrudescenze nell’andamento dei prezzi, specialmente a causa di fattori esogeni ed anche della fase, tutt’ora in corso, di parziale “de-globalizzazione”.

Fonte: Elaborazione BSM su dati IMF

Sul fronte della politica monetaria, le principali banche centrali dei paesi sviluppati continueranno, magari permettendosi delle pause, a adottare politiche monetarie restrittive sino a quando le condizioni finanziarie lo consentiranno, mossa decisamente rischiosa sia per la crescita economica che per la stabilità finanziaria. Dopo gli importanti rialzi dell’ultimo anno, sarà fondamentale, se si vorranno evitare danni, dosare bene le misure e soprattutto valutare in modo quanto più preciso possibile l’effetto di ritardo temporale con cui la politica monetaria influenza l’andamento economico. Non è infatti da escludere che i livelli dei tassi di interesse attuali (negli USA ma soprattutto nell’Eurozona), siano già in territorio molto vicino o addirittura superiore ai tassi naturali (ovvero livelli né espansivi né restrittivi) e la sensazione è che le banche centrali vorrebbero proseguire nell’irrigidimento della politica monetaria per evitare l’errore fatto nel 2021, quando non capirono che l’inflazione non sarebbe stata così transitoria come inizialmente pensato.

COSA CI SI ATTENDE INVECE SUI MERCATI FINANZIARI?

Dopo un anno negativo come il 2022, gravato principalmente dall’aumento dei tassi di interesse, ci siamo addentrati nel nuovo anno con una situazione decisamente migliore di quella degli ultimi esercizi. Infatti, i rendimenti attesi sulle principali classi di investimento sono a livelli che non si vedevano da tempo ed è lecito attendersi come un’allocazione tradizionale bilanciata tra azioni ed obbligazioni potrebbe tornare ad offrire quello che nella normalità dei fatti dovrebbe offrire, ovvero un andamento decorrelato tra le due componenti di portafoglio, in grado quindi di fornire rendimenti attesi interessanti con una volatilità contenuta. Livelli dei tassi di interesse ai valori attuali, infatti, dovrebbero permettere all’asset class obbligazionaria di fungere da cuscinetto e soprattutto regalare un andamento poco correlato alla (normale) volatilità dei mercati azionari.

I mercati azionari continueranno ad essere influenzati dall’andamento dei tassi di interesse e, dopo un 2022 che ha visto la sovra-performance del settore energetico e dei settori difensivi, il 2023 potrebbe portare un ritorno della predominanza del settore tecnologico (inteso come aziende tecnologiche che hanno comunque già dei fondamentali solidi), che tratta ora a valutazioni sicuramente migliori di quelle a cui trattava solo fino a pochi mesi fa. L’andamento sarà comunque volatile e non è esclusa una rivisitazione dei minimi registrati nel 2022 nella prima parte del 2023.

Le obbligazioni governative a rating medio-alto forniranno un livello di carry decente. Sebbene non siano attesi particolari ribassi dei tassi di interesse, l’asset class, partendo dai livelli di tassi attuali, sarà nuovamente in grado di fornire un andamento decorrelato all’andamento degli attivi più volatili.

Gli spread di credito, sebbene non siano propriamente a buon mercato, sono giustificati da una buona salute complessiva del mondo corporate, che è riuscito negli scorsi anni ad allungare le durate dei finanziamenti a costi molto bassi, e pertanto il settore sarà resiliente anche in caso si registrasse un calo della crescita economica.

Per quanto riguarda invece le materie prime, se sarà confermato il calo dell’attività economica, si potrebbe andare incontro a performance negative, in primis per quelle energetiche, ed ancora di più se dovesse esservi un calo delle tensioni geopolitiche in Est Europea.

Inoltre, cosa da non sottovalutare affatto, anche la liquidità è ora in grado di offrire quel porto sicuro per cui viene solitamente inserita nei portafogli, dando chiaramente un rendimento non elevato ma comunque positivo, cosa che invece risultava una chimera negli ultimi anni, a causa dei tassi di interesse negativi.

In ordine di preferenza, prendendo come riferimento 5 delle principali categorie di investimento, per il 2023 abbiamo:

1 – Obbligazionario governativo;

2 – Obbligazionario a spread;

3 – Liquidità;

4 – Azionario;

5 – Materie Prime.                          

Se fare previsioni risulta sempre particolarmente difficile, su una cosa siamo più confidenti: la volatilità.  Infatti, è ormai chiaro a tutti come l’andamento di mercato sia ormai da tempo caratterizzato da lunghi momenti di calma intervallati ad altri di volatilità elevata. Rimane quindi fondamentale non farsi prendere troppo la mano durante le fasi di tranquillità e cercare invece di sfruttare le oscillazioni negative, mantenendo quindi sempre un cuscinetto di liquidità da utilizzare per sfruttare eventuali opportunità che dovessero presentarsi.

Di seguito un’analisi più di dettaglio su quanto previsto per ciascuna delle principali classi di investimento.

MERCATI AZIONARI: I nostri modelli che considerano il tasso di rendimento dei dividendi, la crescita reale degli utili, la crescita dovuta all’inflazione e l’espansione/contrazione dei multipli per calcolare i rendimenti attesi degli indici azionari segnalano uno scenario di base tendenzialmente positivo, nonostante permanga uno spazio di downside importante.

Infatti, se consideriamo attendibili le stime di recessione economica, quelle sugli utili aziendali del 2023 dovranno essere riviste al ribasso e, in considerazione degli attuali livelli dei tassi di interesse, è difficile attendersi un’espansione dei multipli importante.

Inoltre, guardando l’analisi storica dei diversi bear market che si sono susseguiti nel corso degli ultimi decenni, notiamo come il calo mediano dei mercati azionari in presenza di recessione sia stato del 39%, quando invece l’attuale calo di mercato ha registrato un minimo attorno al 25% dai massimi. Pertanto, non è affatto scontato che, magari nel primo semestre dell’anno, potremmo assistere ad un andamento negativo. Addentrandosi inoltre nelle valutazioni, i mercati azionari dei paesi sviluppati, sebbene abbiano registrato una compressione dei multipli, trattano ancora a livelli non certamente consoni ad una situazione recessiva.

Crediamo infatti che la performance dei listini azionari, specialmente di quelli dei paesi sviluppati, non possa fare affidamento su un’espansione dei multipli, che sono già a livelli ancora elevati. Anche per il 2023, visto lo sconto a cui trattano, appaiono interessanti i listini dei mercati emergenti nel loro aggregato, sebbene vada sempre tenuto in considerazione che investire sui mercati in via di sviluppo in maniera agnostica significa avere una elevata esposizione all’andamento del listino cinese, con tutto ciò che ne consegue in termini di incertezza.

OBBLIGAZIONI GOVERNATIVE: Le obbligazioni governative dei principali paesi sviluppati trattano a livelli di rendimento che non si vedevano da anni.

L’asset class fornirà un livello di carry decente e, sebbene non siano attesi particolari ribassi dei tassi di interesse, partendo dai livelli di tassi attuali l’asset class sarà nuovamente in grado di fornire un andamento decorrelato all’andamento degli attivi più volatili.

Le principali banche centrali continueranno – a meno che nel percorso non si verifichino incidenti finanziari – ad alzare i tassi di interesse, portandoli probabilmente al di sopra dei tassi neutrali.

Visti i livelli di rendimento di partenza e l’attuale contesto macroeconomico è sicuramente lecito attendersi una performance positiva per l’asset class obbligazionaria governativa, che dovrebbe, ribadiamo, ricominiciare a fornire una copertura “naturale” all’andamento degli attivi più volatili.

Storicamente, prendendo come esempio i bond sovrani americani, a parte gli ultimi 2 anni, negli ultimi 29 anni non vi erano mai stati due anni negativi consecutivi… un eventuale 2023 negativo sarebbe quindi un fatto più unico che raro.

Anche i nostri modelli ci mostrano che i tassi decennali sia in Europa che negli USA sono ora, dopo anni di forte sottovalutazione, a valori non cari rispetto ai fondamentali. Pertanto, sebbene sia difficile attendersi ritorni positivi in conto capitale, il carry fornirà buoni risultati.

OBBLIGAZIONI CORPORATE: Gli spread sul mercato del credito sono tornati a livelli più interessanti rispetto allo scorso anno e crediamo che, sebbene probabilmente non assisteremo ad una compressione importante durante il 2023, i livelli di partenza permetteranno all’asset class di comportarsi discretamente, fornendo un livello di carry interessante. Sia il credito investment grade sia quello high yield appaiono ben prezzati e, per l’anno prossimo, anche gli investitori più avversi al rischio, allocando le risorse sulla parte breve delle curve del credito, potranno beneficiare di tassi e spread non disdicevoli.

Il mercato del credito ha una discreta probabilità di rivelarsi abbastanza resiliente anche in caso di una situazione macroeconomica in deterioramento, grazie ad una buona salute complessiva del mondo corporate, che è riuscito negli scorsi anni ad allungare le durate dei finanziamenti a costi molto bassi e pertanto il settore sarà resiliente anche nel caso in cui si registrasse un calo della crescita economica.

A livello di merito di credito, sul segmento Investment Grade saranno da prediligere rating nell’intervallo mediano, mentre su quello high yield meglio il bucket BB.

La parte a breve della curva del credito, specialmente nel mondo high yield, appare maggiormente interessante di quella a lungo.

DOLLARO AMERICANO: Il Dollaro Americano, nei confronti dell’euro, rimane sopravvalutato guardando ai fondamentali ed anche il differenziale tassi non crediamo potrà dare molta spinta al biglietto verde nel 2023. Inoltre, la fase discendente dell’euro dei primi 9 mesi del 2022, è stata guidata dal peggioramento della bilancia commerciale europea, zavorrata dall’aumento dei costi dell’energia (gas in primis), denominati in dollari. Di conseguenza, una normalizzazione dei prezzi delle materie prime energetiche sarebbe positiva per l’euro e negativa per il dollaro americano.

Riepilogando, tutte le metriche considerate ci permettono di affermare che appare verosimile aspettarsi un andamento non troppo forte del dollaro americano rispetto all’euro durante il 2023.

La tabella performance attese riepiloga in termini quantitativi le nostre previsioni sulle principali asset class, che coprono una larghissima parte dell’universo investibile.

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