Home Notizie del Giorno Visto per voi al teatro Galli: “La tempesta” di Alessandro Serra

Visto per voi al teatro Galli: “La tempesta” di Alessandro Serra

da Alessandro Carli

La pièce che ha dato l’addio alle scene di William Shakespeare, negli occhi, nella sensibilità e nella riduzione testuale – e drammaturgica – di Alessandro Serra si trasforma in un manifesto di straordinaria attualità: il tema del perdono in prima battuta, ma anche quello, delicatissimo e doloroso, tra i naufraghi e chi lo accoglie. “La tempesta”, passata sulle assi del teatro Galli di Rimini e vista il 21 dicembre, è un’ulteriore tappa del percorso del bravissimo regista nell’universo della luce e del suo opposto. È la conferma della qualità della sua “estetica” dello sguardo: dopo il meraviglioso “Macbettu” – recitato in dialetto sardo che destruttura il testo originale diventando veicolo identitario per scandagliare la vita umana nel momento in cui si ritrova a raccontarsi ad un incrocio – nel nuovo lavoro sul Bardo sono ancora presenti sia i riferimenti poetici ai suoi maestri – Jerzy Grotowski, Tadeusz Kantor e Peter Brook (scomparso di recente e grande “attraversatore” del poeta inglese: nel 1968 firmò la regia proprio de “La tempesta”) – che alla sua “visione” di pulizia della scena, quasi a voler zoomare e dare più spazio ai personaggi e quindi alla storia. Storia che si apre con una sottile nebbia che ricorda quella di “Amarcord” di Fellini e che introduce all’istante la platea nel mondo della “sostanza dei sogni”. Lo spettacolo, inferiore come potenza e perfezione al “Macbettu”, complessivamente funziona, anche grazie alla magistrale, superba interpretazione di Marco Sgrosso (Prospero): in un’ora e 40 minuti senza intervallo gli spettatori si immergono nel viaggio “per gli occhi” (il senso più coinvolto), in quell’isola “immaginata” del Mediterraneo (e resa, sul palco, solamente da una pedana), prigione e faro dell’esiliato Prospero, mago e naufrago che vorrebbe, attraverso la scienza occulta, salvare la figlia Miranda. Mentre Antonio, fratello di Prospero, e il re di Napoli Alonso sono sulla strada che li dovrebbe ricondurre a Cartagine, il mago scatena una tempesta che farà approdare la nave – che trasporta anche Ferdinando, il figlio del re partenopeo – sulla sua isola. L’intervento dello “spiritello” Ariel conduce al lieto fine: i due giovani, Ferdinando e Miranda, si innamorano e si sposano, i due fratelli, Prospero e Antonio, faranno pace (con il primo che rinuncerà all’arte magica).

Quello che sembra interessare maggiormente Alessandro Serra è l’osmosi tra Natura e Arte, tra persone e personaggi, a cui dà lo spazio per rappresentarsi scegliendo un allestimento minimalista (di fatto, un palchetto e un tendone nero che diventa mare in tempesta, mondo, luna, sfera a cui chiedere numi sul futuro) e ampio “riempito” però da una sapiente, meraviglioso quadro di giochi di luci che stagliano e ricreano ulteriori universi. È la coniugazione del verbo scespiriano verso un tempo più da “commedia” che da “tragedia”, più sulle sfumature grottesche, caricaturali (e a tratti piacevolmente  manieristiche) che sull’intensità “seria” del dramma, più sull’interpretazione degli attori che sulla definizione “canonica” dei personaggi, più sulla profondità del teatro che del testo (magnifica la scelta, poco prima della chiusa, di “squarciare” il fondale per permettere al pubblico di “entrare” con gli occhi nel backstage e vedere gli attori cercare i vestiti su un appendiabiti), più sulla fiaba (ben raccontata dai vestiti “bambineschi” dei protagonisti e da alcuni quadri “giocosamente” fanciulleschi) che sul racconto umano, quello cioè delle frizioni e della “disamistade” deandreiana tra Prospero e Antonio.

Un viaggio filologicamente semantico da cui emergono, terrignosamente vivissimi e veri, personaggi burattinati, quasi apocrifi. Attori che sono “spiriti dissolti”, resi ancora più dirompenti dalla scelta – e dalla capacità – di Alessandro Serra di “disegnare” lo spettacolo solo con le luci. “La tempesta” perfetta per gli occhi.

Sipario.  

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