Home Notizie del Giorno Visto per voi al “Bonci” di Cesena: “Bros” di Romeo Castellucci

Visto per voi al “Bonci” di Cesena: “Bros” di Romeo Castellucci

da Alessandro Carli

Come in “BR#04” della “Tragedia Endogonia”, anche in “Bros” visto al Teatro Bonci di Cesena il 12 novembre (entrambi gli spettacoli iniziano con due consonanti che rimandano alle Brigate Rosse dove il color vermiglio è quello del sangue) il pestaggio è uno degli elementi teatralmente (e drammaturgicamente) totemistici che vivisezionano l’indagine – profondissima e affilata – di Romeo Castellucci sul rapporto tra la Legge e chi esercita il Potere.

Su quei pestaggi che vengono seminati come “nei” sulla pelle della mise en scene (80 minuti) si potrebbe dire, anche a costo di risultare banali, che “fanno pensare”. O meglio: fanno ricordare. Ricordare Genova, ad esempio, o Guantamano o, indietro con la memoria, via Tasso o i garage cileni di Pinochet. Polizia che picchia, insomma: potere che si fa violenza. Perché “Bros” – questa è la sensazione – dichiara esplicitamente la violenza del Potere attraverso un percorso di grande nitore, che esplode subito in uno spazio scenico buio, marmoreo, asettico, che rimanda ad una manciata di pellicola di Stanley Kubrick.

Lavorando su tre colori cari al regista cesenate (nero, bianco e rosso), la pièce ripropone a tratti alcuni topoi del meraviglioso viaggio endogonidio di quasi 20 anni fa: oltre al pestaggio (in “Bros” però è molto meno drammatico: alla fine dell’esecuzione gli attori manganellati si alzano come se niente fosse), ritroviamo il sangue, l’anziano, una scimmia (ma stampata su un pannello verticale), i tappeti sonori di Scott Gibbons che esplodono e riecheggiano in platea, e un bimbo, nel finale, vestito di bianco che accoglie dalle mani di un poliziotto adulto il manganello.    

Dal viaggio che si verticalizza nella società emergono zampillii cristallini: in un’alternanza sapiente di estetica ed estetismo, l’indagine mette a fuoco la lobotomizzazione del genere umano, “costretto” a recitare, secondo ordini ordinati, un copione. Qui, nella fattispecie, gli ordini vengono impartiti ai 21 poliziotti via auricolare: ci danno dentro di manganello, poi “si schierano a resa”, sparano a salve con le loro armi, scendono in platea a controllare, si posizionano come opliti sul boccascena per “provare” a capire il significato dei loro gesti, non riuscendoci. L’attore diventa attore tout court, un esecutore di una sceneggiatura da mettere in scena senza riflessioni, un pupo mosso da fili che scendono, o cadono, o sono stati impartiti dal cielo. Ogni scena, ogni azione scenica ha la precisione di un orologiaio: tutto gira e si incastra alla perfezione, dal movimento alle parole (sia quelle dell’anziano Geremia nell’ouverture, parole recitate in una lingua dell’est europeo che quelle dei poliziotti, parole scritte in latino su una serie di teli), alle sonorità elettroniche sino ai costumi. A differenza di alcuni capitoli della “Tragedia endogonia”, in “Bros” (foto: Jean Michel Blasco) però la violenza è ovattata, palesemente finta. La finzione teatrale è dunque esplicitata, ma l’effetto (straniante?) rende ancora più forte la dichiarazione di Romeo Castellucci.

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