C’è nell’essere umano qualcosa di più alto che lo spinge a non arrendersi nella ricerca della felicità, della conoscenza, del perdono. C’è qualcosa di profondo che lo sprona anche nei momenti più critici.
Una meta – fisica o metafisica – che lo incoraggia a camminare. L’entusiasmo passa da qui, da queste strade di ideali, di esempi belli da seguire.
Serve tenacia, certo, ma anche equilibrio, perché per il proprio sogno si è disposti a mettersi in gioco, ad affrontare sfide che fino a ieri mettevano i brividi. Ma c’è un limite da rispettare: il limite oltre al quale il sogno diventa un’ossessione. Quando gli ideali scelti sono difficili da raggiungere – ideali contenuti in parole potenti come compassione, empatia, condivisione – ci vuole calma. Consapevoli che forse non si aderirà mai pienamente a quell’ideale ma che la strada fatta per raggiungerlo rende migliori: più consapevoli, meno concentrati solo su sé stessi. Quando il sogno è più materiale – come un progetto da realizzare – tenta, sbucciati le ginocchia a forza di cadere, ma non perdere tutto il sangue sull’asfalto. Non lasciare che il tuo sogno – che ti ha dato forza e conforto tra gli ostacoli – diventi una prigione costruita da te, convincendoti che se non lo raggiungerai non potrai mai essere felice.
Non è lì il segreto della felicità. Forse la felicità non è neanche questo gran segreto.
A volte si pena tanto per realizzare un desiderio per poi commentare “Tutto qui? Tutta la fatica, i sacrifici, le ore passate a fantasticare, solo per questo?”.
Altre volte l’immagine idilliaca creata – o che si voleva ricreare scopiazzando qualcun altro – rimane tale, scoprendo che la realtà è tutta un’altra cosa.
E allora questa felicità?
Dov’è?
Ho sbagliato sogno?
Ho sbagliato indirizzo?
No, hai solo sbagliato ad aspettarla invece di viverla.
La felicità è lungo la strada. Per questo non è segreta: la calpesti ogni giorno. Solo che non le hai saputo dare un nome.
Un nome proprio di persona, animale, città. Il nome comune dell’esperienza che hai vissuto ieri: complicità, risata, fuga. Un cuscino su cui appoggiare la testa quando si è molto stanchi. Due parole di conforto quando si è saturi. Una speranza che dia la forza per fare un altro tentativo, magari in una direzione differente. In mezzo a questi nomi – che non siamo capaci di dare – c’è la felicità, c’è la contentezza che è anche più difficile da scalfire, e piano piano la gioia, che è come avere l’inno di Beethoven suonato dentro le arterie.