L’agenda delle riforme dettata dal PNRR è stata il collante del Governo Draghi per diversi mesi: soldi a palate da spendere subito e responsabilità condivisa con tutti gli alleati-avversari, quindi di fatto azzerata in vista delle elezioni del 2023. Un traguardo a cui si sarebbero presentati tutti con le mani sporche – si fa per dire – delle grandi riforme che proprio perché tali avrebbero scatenato le ire dei tanti, piccoli o grandi, portatori di interesse italici. Ma proprio perché non era imputabile ad un solo soggetto politico tale “colpa”, si sarebbe ripartiti tutti ad armi pari e chi vince, vince. Ma la politica (rigorosamente con la p minuscola) non ragiona così. Ora c’è la gara ad addossare la colpa (senza virgolette) della caduta del Governo Draghi all’avversario di turno, perché tutti hanno compreso che gli italiani – un pochino, non esageriamo dai – in fondo ci speravano in Draghi e se non in lui, almeno nei soldi del Recovery Plan e quindi nell’agenda del PNRR. San Marino non ha quei soldi come premio alle riforme, ma sa bene che senza tali riforme difficilmente riuscirà a sostenere il suo welfare state e lo sviluppo economico che lo finanzia. Però anche qui la politica un pensierino alle scadenze elettorali inizia a farlo: c’è un’alleanza larghissima in Consiglio Grande che inizia a rimarcare le differenze e che, soprattutto, inizia a ragionare in chiave elettorale. Se faccio questa riforma, poi sarò in grado di dire agli elettori che era una cosa condivisa da tutti o mi imputeranno la “colpa”? E se non la faccio, potrò dire che è stata colpa di altri?
Magari nessuno oggi la pensa così, ma se le riforme non si son fatte, qualcuno deve averlo pensato.
Editoriale: Le elezioni che evitano le riforme
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