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Editoriale: nuova moda, un desk tira l’altro

da Daniele Bartolucci

La possibilità che un partito o movimento politico si strutturi con più gruppi di lavoro è una conseguenza normale della crescita dello stesso, come numero di aderenti ma anche come volume di attività da gestire. A maggior ragione se quel partito è in maggioranza e ha rappresentanti con incarichi istituzionali. Nulla di strano sotto il sole, insomma. Quello che è del tutto nuovo è che non passi giorno che nasca un nuovo gruppo di lavoro o “desk” come ormai tutti li chiamano, su temi che spaziano da turismo all’innovazione, ecc, ecc. Tutti sicuramente spinti da una genuina voglia di partecipazione, dalla consapevolezza che più persone significa più idee, dalla volontà disinteressata di dare una mano anche a chi, magari di un altro partito, ha l’onere di gestire talune Segreterie di Stato. Insomma, sarebbe un mondo bellissimo. Ma lo è? Forse no e forse le ultime scaramucce in Consiglio Grande hanno confermato queste piccole o grandi crepe tra i partiti di maggioranza. Crepe che, per ora, non si stanno allargando e anzi, sui temi più importanti (vedi l’accordo UE con tanto di comunicati da ogni parte a sostegno della trattativa, per non parlare dell’appoggio all’Ucraina) sembrano addirittura sparire. Ora, però, arriva giugno: il mese delle riforme annunciate. Arriveranno i testi definiti in questi mesi, annunciati per “quasi pronti” e comunque “prioritari per il Paese” o dovremo aprire un desk specifico sulle modalità di presentazione delle riforme? Un “reform desk”, magari. Oppure, come qualcuno potrebbe ironicamente dire, un “Desk per non farle”. Il mese dei desk è passato, ora serve quello delle riforme.

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