Luci appese da un lato all’altro della via. Che pendono come sorrisi dalla ringhiere dei balconi. Che illuminano i salotti dietro le persiane chiuse, anche a notte fonda.
Luce di una stella cometa che guidò pastori e re. Luce nata in una grotta, in una mangiatoia, simbolo di speranza, di salvezza, per gli uomini di buona volontà.
La luce permea il mese di dicembre, dalla superficie agli strati più profondi.
E uno dei mesi più bui dell’anno diventa la celebrazione del suo opposto, la luce.
D’altronde non apprezzeremo mai così tanto una candela quanto nel mezzo di un blackout.
Eppure, tutta la bella luce in cui siamo immersi rischiamo di perdercela, farcendo questo mese di impegni, scadenze, corse contro il tempo, come fossero canditi in un panettone destinato a risultare stucchevole per l’abbondanza di ripieno.
Ma se per una volta potessimo camminare invece di correre, se per una volta potessimo lasciarci avvolgere da questa luce che ci perseguita e che facciamo di tutto per ignorare, allora potremmo lasciarci ispirare dai bambini, che da secoli cantano “Luce dona alle menti, pace infondi nei cuor”.
E potremmo sforzarci di ricordare i versi di Guido Gozzano imparati alle elementari, e magari trovare un po’ di conforto perché “La notte che fu sì buia, risplende d’un astro divino”. E riscoprire quanto sono attuali la solitudine, l’affanno e quel bisogno di “caldo buono” del “Natale” di Giuseppe Ungaretti. E chiederci – oggi, ancora, sempre – insieme a Salvatore Quasimodo: “Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino che morirà in croce fra due ladri?”.
Se nell’arco dei giorni ci concedessimo delle piccole pause, potremmo rileggere “Un canto di Natale” di Dickens e gli potremmo permettere di insegnarci che “È cosa giusta, ponderata e nobile che, se malattia e dolore sono contagiosi, non vi sia nulla al mondo di così irresistibilmente contagioso come il riso e il buon umore”.
E potremmo, per un giorno, uno soltanto, ascoltare il tramonto? Concederci almeno per una volta che il giorno finisca alle 4.32, quando il sole cala? Fermare lì, in quell’orario impreciso, tutti i lavori, gli obblighi, per dedicarci a qualcosa che abbia un valore ma non una convenienza. Qualcosa che sia ristoro, incoraggiamento. Scovare vecchie foto da inviare a un’amica. Mischiare le carte per perdere miseramente con la nonna.
Poi domani si ricomincia a correre, va bene. Ma potrai raccontare a tutti che per un giorno hai camminato, ed è stato bellissimo.