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Speciale cultura: il volto del Santo Marino inciso nella roccia

da Redazione

Si trova sulla parete della Cava Antica ed è stato realizzato da Aldo Volpini, “l’ultimo scalpellino” della Repubblica, un “Leonardo” locale geniale e capace di creare grandi forme d’arte.

Volpini

 

di Alessandro Carli

 

Sulla parete rocciosa della Cava Antica si staglia un’opera scultorea particolare, dimenticata per molto tempo e che sono di recente è stata riconsegnata alla comunità del Monte Titano. Si tratta del “Volto del Santo”, incisa nella roccia da Aldo Volpini, definito “l’ultimo scalpellino” della Repubblica.

“La pietra si vede tutta dalla fuga della stuccatura” diceva l’artista, scomparso esattamente 45 anni fa, nel 1976.

Il sito http://www.aldovolpini.com/zenphoto/ ci aiuta a “recuperare” il suo spessore. Nato nel 1920, fu “il tipico autodidatta che, nonostante gli stenti e i sacrifici familiari, ha saputo coltivare l’amore dell’arte. Difatti egli come seppe usare il pennello in lavori di fregi e decorazioni, spingendosi fin anche a trattare figure sia pure limitatamente al campo della caricatura; così meglio ancora seppe usare lo scalpello e il mazzuolo in lavori in pietra sammarinese. Aldo Volpini è stato sicuramente l’ultimo grande lapicida della tradizione sammarinese. Entrò nella cava di Luigi Reffi, passata al figlio Gaetano, ancora bambino, nel 1934, e suo padre raccomandò al più vecchio degli scalpellini, chiamato ‘Sarafa’, di accoglierlo bene e insegnargli con pazienza il mestiere. Romeo Balsimelli (che gestì, dopo di lui, la cava di Gaetano Reffi) rimproverava al Volpini, subito emergente come il migliore degli ‘allievi’, la sua originalità creativa che facilmente assecondava il gusto per l’invenzione mentre, a detta del ‘maestro’, avrebbe dovuto essere meno ‘presuntuoso’ e limitarsi a eseguire i progetti altrui. Il fatto era che Aldo Volpini non aveva talento ma lo era, e lo dimostrava quasi febbrilmente, arricchendo di colori, segni, e fantasia, ogni foglietto di carta, ogni supporto che si prestasse alla sua creatività. Per questo fu artista completo, prolifico e spesso irrequieto”.

Un uomo dai due volti: “Il giorno lavorava e la sera si ritirava nella solitudine della sua stanza a disegnare figurine, paesaggi e trovava unico svago nell’usare acquerelli, matite colorate, pastelli e sporcare quanta più carta poteva. Invano l’avreste cercato nei locali frequentati dai coetanei e dalla gente del suo rango. Vi era una festa danzante, ecco Aldo preparare il cartellone pieno di figurine e di volteggi; vi era una partita di calcio fra squadre giovanili locali, ecco Aldo preparare dei quadri vivi di umorismo e di gaiezza. Cominciò così a farsi notare; ma senza volerlo, perché Aldo era di una modestia che rasentava la timidezza ed era nemico di ogni esibizione, di ogni clamore. La sua stanzetta cominciò a corredarsi di qualche libro di poca spesa, poi via via di qualche pubblicazione più consistente acquistata coi sacrifici del suo lavoro diurno, e cominciò ad osservare a studiare le opere dei grandi artisti e sentì di commuoversi davanti alle sublimi opere d’arte”.

Un “Leonardo” locale, geniale e capace. “La sua figura artistica si può veramente definire completa: non si applicò, infatti, alla sola lavorazione della pietra ma, sempre da autodidatta, apprese la tecnica della modellazione (osservando il decoratore Giris al lavoro nel Teatro Titano), e i rudimenti nel disegno dal pittore sammarinese Torquato Mariotti. Il desiderio di completare e perfezionare i suoi risultati lo induceva a osservare, studiare, imitare, le opere dei grandi artisti rinascimentali, per rendere sicura la propria linea, ed espressivo il segno. Si distinse alla prima Mostra dell’Artigianato del 1948: nello stesso anno compose un grifo in rilievo su un fondo in pietra martellata. La difficoltà dell’esecuzione indica già una mano sicura nelle curve morbide ed eleganti, nel gusto della decorazione, ricca ma non pesante”.

Nel 1951 eseguì uno stemma (dono del Governo per il III° Congresso internazionale di difesa sociale, tenuto a San Marino) a cui seguirono altri stemmi nel 1953, per la tomba di Dante Alighieri, nel 1954 per il “Social Club San Marino” di Detroit e per la Porta della Fratta, nel 1955 per il Museo delle armi Antiche, e nel 1959, per la Funivia di San Marino. “Resosi noto fra la popolazione per l’esecuzione di questi stemmi, ne preparò ancora: due per Valgiurata nel 1960, per le Famiglie Gozi e Arcangeli nel 1961 e per la famiglia Belluzzi nel 1963. Ma le sue opere più belle le teneva custodite in casa: per lui, il lavoro in pietra, come tutte le altre attività artistiche, era un fatto vitale. Doveva appagare l’eterno stimolo a creare, a dare forma all’inesprimibile”.

Nella sua testa e nelle sue mani ha “vibrato” per due lustri un grande sogno: scolpire una storia di San Marino di dimensioni gigantesche nella cava degli Umbri.

“Il progetto – ricorda il sito – è stato accuratamente preparato, meditato, approfondito, ma fino al primo giorno in cui è stato presentato alle autorità competenti ha sempre trovato davanti a sé poco coraggio di iniziativa, forse nessuno si era esattamente reso conto della portata di una simile opera: su una superficie di centinaia di metri quadrati, un grandioso San Marino contornato da sei ‘quadri’ che ne illustrano le fasi più salienti della vita. Un’opera visibile da chilometri di distanza, capace da sola di dare alla Repubblica di San Marino fama maggiore di quanta non ne goda oggi; la idea di un artista paragonabile per entusiasmo ed impeto ai suoi predecessori del Rinascimento”.

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