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Repubblica di San Marino, il reato di diffusione illecita di immagini

da Redazione

CGG: in prima lettura il progetto di legge firmato da Bugli e Mina. Manca una normativa specifica: ora il Titano si può allineare al mondo.

revenge

 

di Alessandro Carli

 

La Repubblica di San Marino si vuole allineare al mondo: va in prima lettura nella sessione della seconda metà di settembre del Consiglio Grande e Generale il progetto di legge firmato dai consiglieri Lorenzo Bugli e Alice Mina che chiede l’introduzione del reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (“revenge porn”).

Il progetto di legge, spiega la relazione, si pone come obiettivo quello di “proseguire nella battaglia contro la violenza sulle donne e di genere, ivi compresa quella domestica, introducendo nella legislazione nazionale una nuova figura delittuosa già prevista in Germania, Israele, Regno Unito, in 34 Stati degli USA e introdotto, con la Legge n. 69 del 2019, anche nella vicina Italia. La diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti è la pratica, sempre più diffusa nella rete, che consiste nella pubblicazione – o nella minaccia di pubblicazione, anche a scopo di estorsione – di fotografie o video che mostrano persone coinvolte in attività sessuali o in pose sessualmente esplicite, senza il consenso della persona interessata, spesso in risposta alla chiusura di una relazione e dunque per vendetta di ex coniugi, compagni/e o fidanzati/e”.

L’unica possibilità riconosciuta alle vittime, sottolinea la relazione, “è fare riferimento alla normativa sui reati di diffamazione, estorsione, violazione della privacy e trattamento scorretto dei dati personali, che non recepisce, però, la gravità e la peculiarità del fenomeno. Occorre dunque una fattispecie specifica di reato che punisca questi comportamenti in maniera esemplare con l’intento di arginare e porre fine al fenomeno ed alle conseguenze devastanti causate alle vittime”.

Il disegno di legge presentato da Bugli e Mina “punisce gli autori di questi comportamenti, annoverando tra gli stessi non solo chi pubblica immagini o video privati aventi questo contenuto, ma anche chi li diffonde, prevedendo delle ipotesi attenuanti in ragione del rapporto esistente tra autore e vittima e della qualità del soggetto. È evidente che la vittima potrà chiedere la condanna dell’autore del reato e il risarcimento di tutti i danni subiti. Occorre inoltre responsabilizzare in modo tangibile i gestori delle piattaforme e delle applicazioni attraverso le quali si effettua il revenge porn al fine di ottenere la rimozione immediata delle immagini incriminate”.

Un’attenzione particolare, così ancora la relazione, “andrebbe rivolto ai minori e agli studenti mediante un adeguato intervento educativo, nel convincimento che solo un uso consapevole di internet e dei social network possa metterli a riparo dalle insidie dei social media e possa costituire efficace prevenzione e contrasto della fattispecie criminosa che deve essere prevista e punita dal nostro ordinamento”.

Il testo consta di 4 articoli. Il primo è finalizzato all”introduzione nel codice penale dell’articolo 177 quinques (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti). Il primo comma stabilisce che fatta salva l’ipotesi che il fatto costituisca più grave reato, commina la pena della prigionia di secondo grado cioè da sei mesi a due anni e la multa da 4.000 a 10.000 euro a chiunque dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

Il secondo comma prevede che la pena è diminuita di un grado e contestualmente anche la multa è ridotta da 2.000 a 8.000 euro a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video da altri li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

Dalla lettura dei primi due commi è previsto che la condotta materiale del misfatto è descritta con metodo analitico, essendo tipiche le modalità di estrinsecazione del reato, restando quindi esclusa la mera detenzione del materiale ad uso personale. Trattasi di reato comune, il cui soggetto attivo del reato non è necessariamente l’autore materiale delle riprese, essendo ricompresa nella fattispecie anche l’ipotesi di sottrazione e successiva divulgazione. Per “sottrazione” non può che intendersi quella compiuta con metodo violento o fraudolento, restando esclusa dal primo comma l’ipotesi in cui sia lo stesso soggetto passivo a cedere volontariamente il materiale all’agente, eventualità che rientrerebbe nell’alveo del secondo comma.

Ai fini della sussistenza del misfatto, il fatto deve essere commesso “senza il consenso delle persone rappresentate”. I requisiti affinché possa ritenersi validamente prestato, il consenso dell’avente diritto deve essere libero, attuale, spontaneo e non coartato, non viziato da errore, violenza o dolo, espresso (non tacito o presunto), manifestato da persona capace di intendere e volere, e relativo ad un diritto disponibile.

E’ prevista, nei primi due commi, una netta distinzione sul soggetto attivo del reato, con diminuzione di un grado dalla pena, tra l’autore materiale del delitto, cioè colui che realizza o sottrae immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, da chi, semplicemente fungendo quindi come un vettore di diffusione, avendoli ricevuti o comunque acquisito le immagini o i video da altri li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde.

Il progetto di legge non è in alcun modo blindato, bensì aperto al contributo e alla cooperazione di tutte le forze politiche, auspicando inoltre di poter trovare dalle forze politiche, rappresentate nel Consiglio Grande e Generale, la più ampia convergenza per proseguire nella imprescindibile e necessaria battaglia contro la violenza sulle donne e di genere.

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