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Quando il Maestro Mario Merz salì sul Monte Titano

da Redazione

L’esponente dell’arte povera espose nel 1983 al Palazzo Congressi ed Esposizioni. Leonardo Casadei: “Fu colpito dalla presenza dell’aria, del vento che l’ha portato a sentirsi in un luogo pieno di magia”.

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di Alessandro Carli

 

Alcuni preziosi frammenti dell’intervista di Rita Canarezza, oggi Operatore Culturale coordinatore della Galleria Nazionale San Marino, all’allora direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di San Marino Leonardo Casadei, che organizzò la mostra di Mario Merz (1925-2003) – il grande esponente dell’arte povera – nel 1983 ci aiutano a fare luce sullo straordinario evento artistico che venne ospitata all’interno del Palazzo Congressi ed Esposizioni dal 18 novembre 1983 al 22 gennaio 1984 (Foto: courtesy Galleria Nazionale San Marino).

Fu difatti, disse lo stesso Leonardo Casadei a Rita Canarezza, “il primo intervento espositivo di raccolta abbastanza vasta che comprendesse le origini fino all’attualità, perché fino a quel momento Mario Merz aveva fatto tantissime attività espositive ma mai mettendo assieme tutto l’escursus della sua opera. Quando Merz visitò San Marino, rimase colpito dalla sua morfologia che si staglia verso l’Adriatico in maniera così aperta e quasi violenta, e dall’altro lato colpito in particolar modo dalla presenza dell’aria, del vento, che l’ha portato a sentirsi in un luogo pieno di magia”. (Dal documento video “In Search of a Museum – San Marino”, parte del cofanetto opera video “Small States on uncertain Stereotypes – Contemporary Art in geo-cultural micro areas and small States of Europe” by Rita Canarezza & Pier Paolo Coro, Mousse Pubblishing 2012).

Nel 1977 Mario Merz, senza abbandonare le basi matematiche (suo elemento distintivo per eccellenza da quando nel 1970 introdusse nel proprio lavoro la serie numerica di Fibonacci), inizia ad affrontare tematiche nuove come la ciclicità della natura (i rami tagliati per favorire la nuova crescita) e la dimensione mitica della selva arcaica. Ed è in questo stesso periodo che nasce anche il tema del “vento preistorico dalle montagne gelate”, cifra di massima dilatazione temporale, vento di libertà e fulmine metafisico, che dalle origini terrestri attraversa i secoli per portare nel presente l’intensità di energie primigenie. Merz aveva già esposto con grandi mostre in America ed Europa. Ma la più completa, apparivano anche i suoi primi lavori pittorici degli anni Cinquanta, è stata proprio quella di San Marino. Di quella straordinaria esperienza è rimastra traccia indelebile nel catalogo curato da Germano Celant (edizioni Mazzotta) e ancora in vendita presso il bookshop della Galleria Nazionale di San Marino.

 

IL PERCORSO ARTISTICO


A metà degli anni Sessanta iniziò ad abbandonare la pittura per sperimentare materiali diversi, come i tubi al neon, con cui perforava la superficie delle tele per simboleggiare un’infusione di energia, oppure il ferro, la cera e la pietra, con cui sperimentava i primi assemblaggi tridimensionali, le “pitture volumetriche”. Fu presente fin dalle prime mostre dell’arte povera, insieme con gli artisti che avevano partecipato alla collettiva organizzata da Germano Celant alla Galleria La Bertesca di Genova (1967) e si riunivano presso la Galleria torinese di Gian Enzo Sperone: Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Luciano Fabro e altri. Diventò presto un punto di riferimento del gruppo.

Il clima del ’68 e l’idea di un rinnovamento politico e sociale si rifletterono nelle sue opere: Merz riproduceva con il neon gli slogan di protesta del movimento studentesco. Dal 1968 iniziò a realizzare strutture archetipiche come gli Igloo realizzati coi materiali più disparati, che divennero caratteristiche della sua produzione e che rappresentavano il definitivo superamento, da parte dell’artista, del quadro e della superficie bidimensionale. Dal 1970 introdusse nelle sue opere la successione di Fibonacci come emblema dell’energia insita nella materia e della crescita organica, collocando le cifre realizzate al neon sia sulle proprie opere sia negli ambienti espositivi, come nel 1971 lungo la spirale del Guggenheim Museum di New York, nel 1984 sulla Mole Antonelliana di Torino, nel 1990 sulla Manica Lunga del Castello di Rivoli, nel 1994 sulla ciminiera della compagnia elettrica Turku Energia a Turku, in Finlandia e inoltre sul soffitto della stazione metropolitana Vanvitelli (metropolitana di Napoli) con forma a spirale. Nel 1992, installò “L’uovo filosofico”.

Spirali rosse realizzate con tubi al neon e animali sospesi recanti i numeri della successione di Fibonacci nell’atrio della stazione centrale di Zurigo. Nel 1970 introduce anche il “tavolo”, quale ulteriore elemento tipico e archetipico del suo lavoro, e dalla metà del decennio esegue installazioni complesse combinando igloo, neon, tavoli, sulle cui superfici disponeva frutti in modo che, lasciati al loro decorso naturale, introducessero nell’opera la dimensione del tempo reale. Alla fine degli anni settanta Merz tornò all’arte figurativa, delineando grandi immagini di animali arcaici (come coccodrilli, rinoceronti e iguane), su tele non incorniciate di grandi dimensioni.

 

L’ARTE POVERA

 

Il movimento nasce in aperta polemica con l’arte tradizionale, della quale rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali “poveri” come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali, con l’intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici. Un’altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento è il ricorso alla forma dell’installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente, e a quella dell’azione performativa. Germano Celant, che mutua il nome del movimento dal teatro di Jerzy Grotowski, afferma che l’arte povera si manifesta essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Gran parte degli artisti del gruppo manifestano un interesse esplicito per i materiali utilizzati mentre alcuni – segnatamente Alighiero Boetti e Giulio Paolini – hanno fin dall’inizio una propensione più concettuale.

L’attenzione agli stili di vita delle molteplici culture diverse da quella occidentale è presente nelle opere di Merz: i suoi tanti igloo, creati con differenti materiali (ad esempio metallo, vetro, legno, etc.), puntualizzano la capacità di adattamento di un popolo al suo determinato ambiente.

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