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Era anche poeta Sergio Zavoli. Ed è il poeta che ho incontrato una sola volta

da Redazione

“Quando un giornalista non sa cosa dire, si inventa una domanda – racconta così la sua visita insieme a Enzo Biagi all’amico morente – Ed Enzo Biagi gli chiese che cosa desidereresti ora? Innamorarmi ancora una volta, fu la risposta”.

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di Simona Bisacchi

 

RIMINI – Incontrare un poeta non è un’esperienza comune. Avere la sensazione di aver assistito a un incontro memorabile lo è ancora meno.

Eppure, in una notte d’agosto, nella Vecchia Pescheria di Rimini, Sergio Zavoli ha raccolto tutti intorno alla sua poesia, per raccontare una dimensione così intima di sé e del suo percorso umano, prima ancora che professionale, da trasformare il pubblico in compagni di viaggio, testimoni. Fosse anche solo per una notte.

“L’infinito istante” è il titolo della raccolta di poesie che il giornalista, senatore a vita, è venuto a presentare alla rassegna Moby Cult, diretta da Manola Lazzarini. Testimonial della serata lo scrittore riminese Piero Meldini. A me il compito di introdurre questo incontro, questi grandi personaggi figli della mia città.

Sergio Zavoli arriva puntuale. E senza calzini… Come ha poi raccontato sul palco, sottolineando lo spirito “libero” di Rimini, dove nessuno fa caso se un vecchio amico infila i calzini a un altro al tavolino di un Caffé. L’autore è molto diverso da come appare nella copertina del suo libro. Non diverso nell’aspetto, ma nello sguardo. Qui si coglie una gentilezza, che sovrasta la fierezza.

Così come nelle sue poesie si coglie l’immediatezza e la semplicità di un’anima spogliata, e per questo potente. Sorseggiando appena un po’ d’acqua, Sergio Zavoli parla per un’ora e mezza, ininterrottamente, tra momenti passati, consapevolezze e domande universali. Non è scontato che un grande intellettuale riesca a essere un poeta. Non è facile “togliere” fino ad arrivare alla poesia. Ma in questa serata è un canto anche il ricordo dell’amico Federico Fellini, con cui Zavoli apre l’incontro. “Quando un giornalista non sa cosa dire, si inventa una domanda – racconta così la sua visita insieme a Enzo Biagi all’amico morente – Ed Enzo Biagi gli chiese che cosa desidereresti ora? Innamorarmi ancora una volta, fu la risposta”.

La dimensiona privata è al centro di questo libro, dove la vita si mostra attraverso i ricordi di gioventù, le persone care al poeta, gli addii, ma anche gli incontri “perché si conosce solo attraverso l’altro. L’altro è la nostra ombra, la possibilità di imparare”. La ricerca dell’incontro ha segnato profondamente anche la sua vita professionale. “Ho sempre amato molto fare interviste. Non mi preparavo una scaletta di domande: la risposta alla prima domanda era lo spunto da cui nasceva la seconda, e a quel punto sapevo che si era instaurato un dialogo. Non ho mai cercato lo scoop, non cercavo di strappare all’intervistato quello che non avrebbe voluto rivelare, ma ero contento quando la persona che avevo davanti raccontava ciò che pensava di non riuscire a dire”.

E non può esserci incontro senza comunicazione. “Purtroppo oggi la parola è relegata a un segno, un logo, una traccia. Nelle scuole dovrebbero far leggere di più ai ragazzi poeti come Pascoli, Tonino Guerra”.

Nell’ultimo capitolo del libro “L’indicibile elogio” la poesia incontra Dio e la trascendenza. “Il vero miracolo della vita è la nascita. Tu sei qualcosa che mai c’è stato prima sulla terra, qualcosa che mai più avverrà così, in questo modo”.

La presentazione si conclude con un riferimento alla politica – che rimane una delle grandi passioni di Sergio Zavoli – un richiamo all’unione delle persone al di là delle ideologie, un richiamo ai valori, e a una società dove ognuno sia il fautore del proprio capolavoro, nel lavoro che svolge, nelle mansioni a cui ogni giorno è chiamato. “L’immaginazione è importante perché permette di vedere al di là delle apparenze, di cogliere la realtà, ma oltre all’immaginazione sono necessari l’impegno e la volontà”. La speranza descritta dallo scrittore è una valore attivo. “Sant’Agostino scriveva Signore, guardami dalla disperazione senza scampo e dalla speranza senza fondamento. Non si può sperare, aspettando l’intervento di qualcun altro. Oggi la voce del verbo legato alla speranza non è sperare, ma agire”.

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