Home categorieCultura Visto per voi a teatro: “La mappa del cuore di Lea Melandri” di Ateliersi e “Luce” di Masque

Visto per voi a teatro: “La mappa del cuore di Lea Melandri” di Ateliersi e “Luce” di Masque

da Redazione

La seconda giornata di Santarcangelo Festival 2050 (15 luglio 2020): l’amore per i VIP negli anni Ottanta, l’ingegneria che incontra e ravviva il corpo e lo fa danzare.

ateliersi

 

di Alessandro Carli

 

SANTARCANGELO (RN) – Esclusi i primi 15 minuti di noia – un ragazzo (Andrea Mochi Sismondi) e una ragazza (Fiorenza Menni) scartabellano lettere e riviste pop degli anni Ottanta riprendendo con la telecamera in presa diretta le immagini e le parole, un déjà vu trito e ritrito e utilizzato molto meglio da altre compagnie teatrali -, “La mappa del cuore di Lea Melandri”, la proposta di Ateliersi (foto Facebook) ospitata in piazza Galassi (all’ombra del Campanone) all’interno del cartellone di Santarcangelo Festival 2050 è un viaggio pop scenicamente convincente anche se carente nei contenuti. L’idea di partenza è sicuramente interessante, ovvero quella proporre al pubblico i contenuti e le lettere che negli anno Ottanta le ragazzine spedivano per posta alla rivista “Ragazza in”. A intramezzare le parole e a fare da sfondo sonoro la voce e l’outfit “a tema” di Francesca Pizzo (vestito bianco, gambe nude e giacca con le spalline), che si inserisce nel tessuto drammaturgico come un metronomo, dando il giusto tempo ai quadri dei due attori. Si scopre che Lea Melandri era una psicologa che dispensava consigli spesso criptici, poetici, che dicevano tutto e nulla. Una posta del cuore sulle note dei Duran Duran interessante come recupero filologico di un decennio bistrattato ma comunque sociologicamente capace di “raccontare” un’Italia che si stava lasciando alle spalle il buio degli anni Settanta ma teatralmente un po’ debole anche a causa della carrambata finale – la compagnia ha chiamato sul palco una signora che ai tempi leggeva la rivista e scriveva le lettere – che ha “sgonfiato” i due o tre climax che gli spettatori, in un’ora e un quarto di mise en scene, hanno vissuto.

Otto minuti otto: tanto è bastato a Masque teatro a raccontare, in un’operazione di sintesi quasi lisergica, la loro novella Frankenstein femmina. “Luce” è questo: due Tesla Coil sul boccascena e al centro, spostato un po’ più indietro, un cilindro verticale, un grembo che punta alla notte del cielo, dal quale “esce” e “nasce” una donna. I due oggetti iniziano a guardarsi, poi dialogano, si mandano scosse elettriche blu e bianche e viola mentre le casse sparano una musica forte, decisa, martellante, ricordando tratti della poetica della Societas Raffaello Sanzio. La schiena di Eleonora Sedioli si anima, dispiega le ali e mulina l’aria quasi a cercare un respiro per spiccare il volo. Vive, quindi, per la durata di un esperimento riuscito che ti entra dentro, e ti scuote. Alla fine torna a raggomitolarsi, lentamente, le luci si abbassano e la notte torna a fare quello che sa fare meglio.

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