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Covid19 e impatto sulle imprese: Smart working e delivery per resistere alla crisi

da Redazione

L’analisi di Sara Mussoni della classe IV B. Cresce l’attenzione delle imprese per risorse umane e beneficenza.

Sara Mussoni IV Econ

 

di Sara Mussoni

 

Marzo 2020, il coronavirus diffusosi a inizio anno in Cina ha raggiunto ormai tutti i continenti causando migliaia di contagi, malati, morti e costringendo l’umanità alla quarantena. Una situazione simile non accadeva ormai dal secondo dopoguerra, si presenta oggi come un’emergenza che sta mettendo in grave difficoltà medici, infermieri, forze dell’ordine e il resto del personale essenziale per garantire i bisogni di prima necessità ai cittadini.

Ognuno di noi, ora come ora, è tenuto a fare la sua parte per contenere il contagio ed evitare il più possibile il rischio di accentuare le complicazioni che il complesso ospedaliero sta affrontando.

Ampliando l’analisi delle conseguenze che il coronavirus ha generato, è evidente che non solo il sistema sanitario globale è stato colpito, ma anche quello economico-finanziario. Il mondo è fermo.

Con la chiusura di tutte le attività commerciali, eccetto quelle che garantiscono beni di prima necessità e le grandi industrie e il forte calo della domanda, la borsa valori di diversi paesi è instabile e l’economia non riesce più a svilupparsi come prima.

Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri del governo Conte ha deciso di assicurare in totale 800 miliardi di prestiti alle aziende italiane, mentre le banche fino a 200 miliardi di euro previsti nel nuovo decreto. Inoltre a tutela delle aziende dall’acquisizione straniera è stato deciso di blindare il sistema imprenditoriale del paese dalle scalate speculative ostili con il “Golden Power” (la facoltà garantita all’autorità pubblica di intervenire nelle transazioni di mercato riguardanti società qualificate come strategiche). Esso verrà esteso sia nel sistema finanziario che nelle imprese alimentari, nel campo assicurativo e sanitario.

Tra i settori maggiormente colpiti dalla crisi troviamo quello della ristorazione e del turismo in quanto si sono eliminati quasi del tutto gli spostamenti. E’ stato stimato che gli albergatori italiani stiano perdendo in fatturato una cifra superiore a 16 miliardi di euro.

La maggior parte delle imprese costrette a chiudere, stanno cercando comunque di continuare la loro attività attraverso soluzioni come lo smart-working. Adottato prevalentemente nel settore secondario, l’ordinamento giuridico italiano definisce questa forma di telelavoro come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”

Oltre all’offrire numerosi vantaggi come lo svincolo da un orario stabilito di lavoro, lo smart-working consente di svolgere la propria mansione da casa per cui rappresenta un’alternativa utile per mantenere attivo il proprio business e cercare di non cadere nel fallimento in un periodo tragico come quello in cui stiamo vivendo. Il governo italiano ha già preso provvedimenti legislativi finalizzati ad incentivare questa modalità: il 1 marzo 2020 ha stabilito che fino a luglio 2020 il lavoro agile può essere applicato dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali e che l’obbligo di informativa sulla sicurezza dei lavoratori può essere assolto in modalità telematica. In Lombardia questa linea è adottata per esempio da Pirelli PWC, Luxottica, Enel, Eni, Heineken ma in generale è diffusa su tutto il territorio nazionale e internazionale.

E’ coinvolta anche la pubblica amministrazione, la quale è stata agevolata nell’acquisire beni informatici. Come riporta larepubblica.it attualmente il 68,5% dei dipendenti delle Regioni utilizza il telelavoro. Il record in Abruzzo, dove tutti e 1.415 lavorano in smart working. La percentuale più bassa il Puglia, solo il 41,5% ha adottato questa modalità, sulla spinta dell’epidemia da coronavirus. Percentuali molto alte in Lazio (96,6%), Lombardia (88,7%) e Marche (83,5%). Sulle amministrazioni statali la quota di smart working è anche più elevata, viaggia intorno all’80%.

Per quanto riguarda invece il settore della ristorazione, è frequente la scelta del “delivery” o consegna a domicilio, perché non c’è altra alternativa che possa tenere in piedi determinati locali. Spesso si tratta di piccole attività, ad esempio bar o gelaterie, le quali non riuscirebbero a sopportare i danni economici della chiusura prolungata che l’emergenza ha comportato se non adottassero il servizio a domicilio. I ristoratori che riescono ad ottenere un’autorizzazione dallo stato per effettuarlo, tra l’altro, hanno la possibilità non solo di continuare a vendere ma anche di garantire in qualche modo ai cittadini uno spiraglio di quotidianità con pietanze che erano soliti ordinare di persona prima della quarantena forzata. In aggiunta a questo diverse imprese come NutriBees decidono di non aggiungere le spese di spedizione all’ordine. Il compromesso del delivery è quindi fortemente apprezzato dalla clientela nella realtà in cui essa si trova attualmente, tuttavia l’imprenditore deve intraprendere l’iniziativa dell’asporto assicurando un’opportuna organizzazione logistica. La tecnologia anche in questo campo ricopre un ruolo essenziale, essa può facilitare notevolmente la mediazione tra compratore e venditore mettendo a disposizione siti web, social network o applicazioni in cui l’impresa può continuare a divulgare la sua immagine e i suoi prodotti. Avere un e-commerce risulta fondamentale in questo momento della storia.

Ilsole24ore ha citato OffLunch, ad esempio, società romana controllata da MVND (holding foodtech che si occupa di sviluppo di sistemi di food delivery nata dalla fusione di Moovenda e PrestoFood), dopo essere sbarcata lo scorso giugno a Milano per servire pasti caldi nelle aziende ha cambiato il proprio business, causa Covid-19. Il cibo che prima si mangiava sulla scrivania dell’ufficio con il servizio Easy Box viene recapitato ora sul tavolo di casa. Solo per la città di Milano è anche stato attivato il “Kit spesa”, ovvero un menu composto da diverse pietanze (primo, secondo contorno) che vengono portate nelle case in 24 ore per andare incontro alle esigenze di chi non vuole o non può fare la coda al supermercato o è a casa in quarantena.

La questione risorse umane nelle aziende ha trovato due principali correnti. Da un lato vi sono imprenditori che hanno optato per un aumento degli stipendi dei loro dipendenti, uno di questi Giovanni Rana. Egli premia la sua forza lavoro che continua l’incarico nonostante il virus con aumenti del 25% per un valore complessivo di 2 milioni di euro. Sarà stipulata anche una polizza assicurativa a favore di tutti i dipendenti del Pastificio Rana, compresi quelli in smart working, in caso di contagio da coronavirus. Se da tale prospettiva aumentano i casi di bonus riconosciuti alle risorse umane delle filiere essenziali, dall’altro lato non mancano casi di direttori aziendali che riducono il proprio stipendio per sostenere le imprese nell’emergenza. Il manager di Fiat Chrysler Automobiles, Michael Manley, ha comunicato la decisione di ridursi lo stipendio del 50% a partire dal mese di aprile e per i prossimi tre mesi. Lo stesso faranno i membri del Group Executive Council (GEC), con una riduzione del 30% degli stipendi, con lo scopo di proteggere le risorse finanziarie dell’azienda.

Sicuramente il contributo maggiormente virtuoso che le aziende possono dare in questo momento è quello rivolto alle autorità sanitarie. Alcune tra le note firme italiane a questo proposito stanno assumendo un comportamento collaborativo, diversi colossi aziendali ricorrono alla riconversione della produzione al fine di realizzare materiali indispensabili all’emergenza: mascherine, igienizzanti, disinfettanti ed altri oggetti utili a medici e infermieri. Di fatto si nota come alcune persone siano riuscite a lasciare spazio ai bisogni essenziali invece di proseguire nella realizzazione dei prodotti ordinari del marchio, i quali adesso assumono un’importanza relativa. Le donazioni sono un altro elemento fondamentale per sostenere il sistema sanitario. Nomi celebri nella moda come Armani, Prada, Dolce e Gabbana, Donatella Versace, Valentino, Chiara Ferragni e tanti altri hanno donato cifre astronomiche ai complessi ospedalieri.

I motivi per cui si potrebbe mettere in discussione il funzionamento della penisola italiana sono innumerevoli, ma, se si valutano determinati aspetti, davanti a una simile crisi globale sta dimostrando di mantenere una notevole reputazione.

Fonti: Ilsole24ore.com, Ilcorriere.it, Larepubblica.it e Wikipedia.org

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