Le epidemie si combattono, e possiamo battere anche l’infodemia. Come? Facendo tutti la propria parte.
di Daniele Bartolucci
L’Organizzazione Mondiale della Sanità l’aveva detto subito, “più dell’epidemia di coronavirus, rischiamo una infodemia”, ovvero “un’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”. L’effetto è sotto gli occhi di tutti, dagli scaffali vuoti nei supermercati alle discriminazioni che hanno superato abbondantemente il più becero razzismo: l’Italia è di nuovo spaccata tra nord e sud, dove questa volta – si fa per dire – a schernire dall’alto sono i meridionali, non ancora toccati dal virus. Ma c’è anche una “guerra” tra Italia e Francia, a suon di video pro e contro i prodotti tipici. Ci hanno poi messo del loro, purtroppo, anche i giornali e i giornalisti, che stanno riempiendo h24 il web, le televisioni di notizie a volte contrastanti, spesso non verificate, che si squagliano come neve al sole nel volgere di poche ore. Per non parlare del calcio, vero “circo” italico per antonomasia, che è andato letteralmente nel pallone. Un caos amplificato dal fatto che, per la prima volta nella storia, l’isteria collettiva ha trovato libero sfogo sui social. E’ la prima influenza al tempo di Facebook e Twitter, la Sars e la “mucca pazza” al confronto erano solo dei neofiti e non hanno avuto la stessa viralità (i social non a caso usano questo termine, e stavolta l’accezione è negativa) del Covid-19, a cui probabilmente assegneranno il premio per l’hashtag più utilizzato nel 2020. Ma le epidemie si combattono, e possiamo battere anche l’infodemia. Come? Facendo tutti la propria parte, a iniziare da chi si occupa di comunicazione: informare, non terrorizzare.