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Quando Lucio Dalla venne insignito dell’onorificenza dell’Ordine di Sant’Agata

da Redazione

Il legame tra il grande cantautore bolognese e la Repubblica di San Marino fu suggellato nel 2011.

Lucio Dalla Agata ph Pruccoli

 

di Alessandro Carli

 

4 marzo 1943. O meglio, “4/3/43”. La data di nascita coincide con il titolo di una delle sue canzoni più celebri, quella che racconta la storia di una ragazza di 16 anni e di un soldato che le dona la magia più grande, quella di un figlio.

In questi giorni ricorre l’anniversario dalla nascita e anche della scomparsa di Lucio Dalla, avvenuta il 1 marzo del 2012. Il legame tra il cantautore bolognese e la Repubblica di San Marino fu suggellato nel 2011 quando venne insignito dell’onorificenza equestre dall’Ordine di Sant’Agata (foto di Filippo Pruccoli).

 

LA PIÙ ALTA ONORIFICENZA

 

Quelle dell’Ordine di Sant’Agata sono le più alte onorificenze che San Marino concede “a titolo di riconoscimento – come riporta il regolamento del 23 gennaio 1946 – e riconoscenza verso quei cittadini esteri che con opere benefiche si sono resi utili alla Repubblica e ai suoi Istituti”. L’Ordine presenta quattro gradi: cavaliere, cavaliere ufficiale, commendatore, cavaliere grande ufficiale e cavaliere di gran croce. Si tratta, come precisa la legge, di un ornamento “costituito da medaglioni d’oro recanti in smalti colorati l’effigie del Santo ed alternati con cartigli d’oro caricati del motto Libertas in caratteri capitali di smalto azzurro. Medaglioni e cartigli sono collegati da catenelle d’oro. La serie dei medaglioni alternati con i cartigli è interrotta nella parte anteriore da una placca d’oro recante lo stemma della Repubblica, senza corona, racchiuso tra due rami di quercia e d’alloro, il tutto in smalti colorati. A questa placca è appesa la decorazione dell’Ordine”.

 

DALLA E LE SUE CANZONI

 

Tra le tante perle che ha scritto e interpretato, ce ne è una forse non così celebre ma di grande intensità: “Il cucciolo Alfredo”.

“Mi inteneriva questa mancanza di precauzione con la quale i giovani vivevano allora. Venivano conquistati anche dal luccichio delle idee, da una forma di violenza che poteva sembrare, e magari era, gratuita e fine a se stessa. Che non portava a nulla se non alla contrapposizione spesso irrazionale. Scrissi ‘Il cucciolo Alfredo’ anche per recuperare una libertà semantica di gesti e di parole che si era persa perché sovrastata dal peso dell’ideologia forzata. Bologna ha avuto quella settimana terrificante del 1977: io sono rimasto chiuso in casa per tutto quel tempo. Abitavo fuori dal centro e sentivo cosa succedeva dalla mia terrazza, ero in contatto con gli amici. Poi sono andato una volta in via Zamboni, all’università, per rendermi conto, e lì vidi dei carri armati. Non eravamo preparati, né tantomeno adatti ad affrontare quella realtà. C’erano gli Indiani metropolitani, c’erano i gruppi che venivano da Roma, la situazione era tesa, ma in realtà sembrava quasi una messa in scena. Non era il naturale sgorgare di una protesta con un significato visibilmente politico, ma una rappresentazione quasi grottesca. E una sera la canzone venne fuori così: avevo fatto tardi e stavo aspettando degli amici ‘da Vito’, dove ci ritrovavamo tutti; vidi passare un tram con uno dentro che sembrava più scalcagnato di un marocchino. Da solo, in questo interno del tram, aveva tutta l’estetica dell’autonomo e mi ha fatto tenerezza perché ho pensato alla sua grande allegria nelle manifestazioni e alla solitudine quando poi si trovava da solo. La solitudine fisica dico, non mentale. Si era praticamente sempre in gruppo, c’erano le comuni, le grandi masse, ma si era anche soli nonostante questo supporto dell’impegno politico-sociale”.

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