Home FixingFixing San Marino, i pensionati si avviano a superare anche quota 10mila

San Marino, i pensionati si avviano a superare anche quota 10mila

da Redazione

Il trend di crescita non si arresta e con esso quello delle pensioni erogate, che sono già 11.551: due dati che rendono insostenibile l’attuale sistema previdenziale.

tabella pensionati

 

di Daniele Bartolucci

 

Il numero delle pensioni erogate continua ad aumentare: a fine 2019 sono diventate 11.551, con un + 2,5% rispetto al 2018, quando erano comunque 11.268. Lo stesso dicasi per i pensionati, che sfiorano ormai quota 10mila e crescono di 500 unità all’anno se non di più: nel 2019 si sono registrati 570 nuovi pensionamenti (fonte: Supplemento al Bollettino di Statistica-Anno 2019 recentemente pubblicato). Cifre enormi, insostenibili con l’attuale sistema, che registra un disavanzo di svariati milioni che lo Stato deve “coprire” con trasferimenti sempre maggiori: nell’ultima legge di Bilancio ce ne sono 26 per il 2019 e 27 per l’anno prossimo. Anche se è una cifra molto prudenziale, visto che dalle proiezioni si stima un incremento dell’intervento statale molto maggiore che, senza una vera riforma complessiva, potrebbe arrivare anche a 400 milioni nei prossimi decenni.

 

E’ LA RIFORMA DELLE RIFORME


Nella passata legislatura, la Segreteria alla Sanità ha incaricato il gruppo tecnico di eseguire un’analisi attuariale dei dati del sistema previdenziale, pur essendo ormai condivisa l’idea che così come costruito, il sistema sia insostenibile. E infatti nel report consegnato ai membri del Consiglio per la Previdenza a fine 2019, questa idea veniva certificata appieno. Basti pensare che senza interventi strutturali, il patrimonio dei Fondi Pensione, la famosa “riserva tecnica” oggi allocata in maggior parte nelle banche sammarinesi (oggi ancora fondamentale per la liquidità del sistema bancario), potrebbe esaurirsi in una decina d’anni, precisamente nel 2029. Si tratta di 409 milioni (che cresceranno fino a 434, per poi venire erosi dal 2023 in poi) che potrebbero invece servire per sostenere la riforma nel tempo, ma che stando così le cose si esauriranno molto velocemente, più di quanto si era immaginato solo qualche anno fa. E senza questa riserva, l’unico modo per sostenere le pensioni sarà ricorrere al Bilancio dello Stato. Ma anche qui sono dolori: se non verranno approntanti i necessari correttivi, il saldo previdenziale tra contributi versati e prestazioni erogate, dagli attuali 26 milioni passerà presto a 100 (tra dieci anni), poi a 200, 300 e oltre 400 milioni di euro nel 2049. Una cifra incredibile, che ha fatto strabuzzare gli occhi ai membri del Consiglio di Previdenza quando sono stati presentati i dati reali e le proiezioni future. Il problema è che anche innalzando l’età pensionabile a 67 anni e portando la quota anzianità da 100 a 103, si prenderebbe solo una decina di anni di tempo in più. Più incisivo il passaggio al contributivo, ma non basterà. Gli errori del passato, perché di errori è obbligatorio parlare, ora pesano come macigni sulla testa dei lavoratori, ma anche sul Bilancio dello Stato, perché il contributo statale potrebbe essere l’unica via per il sostentamento del sistema.

 

ANCORA UN CONTRIBUTO STATALE PENSANTE

 

Il problema diventa economico, come detto: in manca di una vera riforma, la situazione peggiorerà sempre più. Lo hanno ormai ammesso tutti, dai tecnici alle parti sociali, fino alla politica. Non è un caso che la Legge di Bilancio, nel destinare ai fondi pensione un ulteriore trasferimento milionario, sia partita da questa consapevolezza: “A seguito del confronto avvenuto nel Tavolo Istituzionale di cui all’Ordine del Giorno del Consiglio Grande e Generale approvato nella seduta del 17 settembre 2019”, recita l’art.21 della finanziaria, “e con la consapevolezza condivisa della necessità di introdurre in tempi brevi una riforma complessiva del sistema previdenziale al fine di garantire l’equilibrio dei fondi pensione e ridurre l’intervento a carico dello Stato, in via straordinaria il contributo a carico dello Stato per la gestione del fondo pensioni lavoratori dipendenti per l’esercizio finanziario 2019 è previsto in euro 26.000.000 e per l’esercizio finanziario 2020 in euro 27.000.000″. Per il 2019 (comma 2 dell’articolo 41 della Legge 24 dicembre 2018 n. 173) in verità erano previsti solo 19 milioni, ma sono diventati 26. E l’anno prossimo saranno 27, ma verranno pagati 19 subito, mentre ” il restante trasferimento pari ad euro 8.000.000 viene stanziato, a decorrere dall’esercizio finanziario 2021, sulla base di un piano di rientro di durata decennale senza interessi; pertanto lo stanziamento complessivo per l’esercizio finanziario 2020 sul capitolo 1-10-4530 è pari ad euro 21.600.000″.

 

UN PENSIONATO ITALIANO SU DUE NON HA VERSATO ABBASTANZA CONTRIBUTI

 

Su 16 milioni di pensionati, almeno 8 milioni non hanno versato i contributi necessari e percepisce in realtà benefici assistenziali sui quali, tra le altre cose, non gravano imposte. E’ quanto emerge dal 7° Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, redatto dal Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali.

La situazione italiana quasi sicuramente rispecchia quella sammarinese, dove molte persone sono andate in pensione con pochi anni di contributi, sicuramente meno di quelli che servirebbero a garantirgli l’assegno mensile per così tanto tempo, visto che sono gli stessi “nuovi anziani”, quelli che hanno potuto beneficiare di un’aspettativa di vita molto più lunga dei loro predecessori.

Tornando all’Italia, il Rapporto permette di approfondire un aspetto che spesso viene trascurato, ovvero quello economico alla base di tutto l’impianto previdenziale: ovvero, cosa ha portato, in termini di contributi, alla creazione dell’assegno percepito. I dati raccolti dicono che su 16 milioni di pensionati, circa la metà è totalmente o parzialmente assistita dallo Stato, ovvero dalle tasse dei cittadini. Nello specifico, il 5,12% del totale pensionati – circa 800 mila persone – usufruisce della pensione sociale: ciò significa che fino ai 66 anni non hanno mai pagato né contributi sociali né imposte e in assenza di redditi dichiarati, hanno richiesto e ottenuto l’assegno mensile. A questi si aggiungono altri 2,9 milioni di pensionati che beneficiano dell’integrazione al minimo, pari a 513 euro al mese, ovvero quelli che in 67 anni di vita non hanno totalizzato 15/17 anni di contributi versati. Altri 160mila sono invece le pensioni di guerra relative al conflitto del 1945, che oggi vanno a beneficio dei superstiti. Quota a parte, ma che incide nel totale, è rappresentata dalle pensioni di invalidità, con accompagnamento o meno, e le reversibilità.

In definitiva, circa 8 milioni di pensionati ricevono in realtà sussidi e benefici assistenziali sui quali non gravano imposte. Infatti, commentava il Corriere della Sera poco tempo fa, “l’Irpef grava sul 40% di pensionati che prendono più di 1.200 euro al mese”, ma in particolar modo, su tutti quegli ex lavoratori con assegni pensionistici da 2.000 euro in su, che sono il 24,7%, e che rappresentano le pensioni “vere”, ovvero quelle pagate con i contributi e le tasse di chi realmente le percepisce. Va da sè che i tempi sono cambiati rispetto al dopoguerra e che i sistemi previdenziali (ma anche i controlli fiscali) si sono evoluti e oggi il numero dei “non contribuenti” dovrebbe essere inferiore, in prospettiva. Ma le dinamiche del mondo del lavoro hanno creato anche tantissimi lavoratori precari, il cui flusso contributivo quasi certamente ha diversi “buchi” durante la vita lavorativa e, comunque, per la “generazione 1000 euro”, ovvero i giovani che hanno potuto entrare solo con Co.Co.Pro. e altri contratti atipici, il montante contributivo non sarà mai sufficiente a garantirgli una pensione adeguata. Anche per questo motivo una delle parole più ricorrenti dall’introduzione del sistema contributivo è “ricalcolo”. Ovviamente nel vocabolario politico è quasi un tabu, visto che ci sono migliaia di pensionati potenzialmente coinvolti in questa operazione, che invece hanno scritto sulle loro bandiere a caratteri cubitali “diritti acquisiti”: un bacino di consenso molto ampio, che non si può certamente ignorare e non tenere in considerazione. Invero, però, il numero di lavoratori e di giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro (in politichese, “gente che vota” anche questa), è assai superiore. E andrebbe tenuto in considerazione, almeno al pari dell’altro bacino elettorale. Chiaramente far coesistere le due aspettative è ben difficile, ma di fronte al fatto che a rimetterci sia in prima battuta anche lo Stato, forse potrebbe essere la leva giusta per trovare una soluzione.

 

UN PROBLEMA “OCCIDENTALE”

 

La “questione previdenziale” è ormai un tema comune a tutti i Paesi occidentali: l’aumentata aspettativa di vita e le dinamiche del mondo del lavoro, infatti, sono temi globali, che impegnano tutti i Governi a trovare soluzioni sostenibili. Lo sanno bene in Italia, dove la Riforma Fornero e la successiva introduzione della “quota 100” hanno fomentato il dibattito politico, ma anche nella ricca Francia è lo stesso: Macron rischia seriamente il proprio posto in una battaglia che da mesi è uscita dalle aule del Parlamento ed è sfociata in una protesta di piazza senza precedenti. Ed ora anche in Grecia sta avvenendo la stessa cosa, con una nuova ondata di proteste di piazza contro le imminenti riforme previdenziali, dopo che già il popolo greco ha pagato a caro prezzo la crisi scoppiata nel 2010.

Italia L’economista italiano Nicola Rossi non ha dubbi, “la quota 100 è stata un errore. Bisognava intervenire chirurgicamente per restituire un po’ di flessibilità al sistema irrigidito dalle scelte del 2011”. Intervistato da formiche.net, Rossi ha spiegato che la soluzione: potrebbe essere data dalla “flessibilità in uscita attuarialmente sostenibile. Sarebbe molto più utile utilizzare qualche risorsa per costruire un sistema di prestiti contributivi per gli occupati con carriere discontinue”. Nel frattempo il Ministro per il Lavoro, Nunzia Catalfo ha annunciato “un percorso condiviso e organico che tenga insieme la pensione di garanzia per giovani e lavoratori discontinui, la flessibilità in uscita e la difesa del potere d’acquisto dei pensionati, oltre che strumenti di incentivazione della previdenza complementare”.

Francia La maratona sulla contestata riforma delle pensioni è iniziata proprio in questi giorni all’Assemblée nationale. L’obiettivo del governo è arrivare all’approvazione entro il 3 marzo, prima delle elezioni municipali, dei 65 articoli, 29 decreti, contro i quali sono stati presentati 41mila emendamenti. L’obiettivo dell’opposizione, infatti, non è emendare la legge, con l’intenzione di migliorarla, ma fare ostruzione, mettendo il governo con le spalle al muro: o ritira la legge oppure deve farla passare con la fiducia.

Grecia Questa settimana diecimila persone sono scese in piazza ad Atene per protestare contro la nuova riforma delle pensioni che incoraggia i lavoratori a rimanere più a lungo al lavoro. Nella capitale i sindacati hanno bloccato i trasporti pubblici, i treni intercity e i traghetti. Anche i dipendenti pubblici hanno lasciato il lavoro e i giornalisti si fermeranno per tre ore. “Questo disegno di legge è praticamente la continuazione delle leggi di austerità”, secondo il sindacato ADEDY. Ma il governo afferma che la riforma renderà il sistema pensionistico greco attuabile fino al 2070 e conterrà aumenti delle pensioni e ridurrà le penalità per i pensionati che lavorano ancora.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento