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Visto per voi a teatro: “44. Il coraggio della scelta” con Patrizia Bollini

da Redazione

In 50 minuti di assolo – tanto è durato lo spettacolo che è passato al Titano il 13 febbraio – l’attrice “vive” una profonda e illuminata “Spoon River” romagnola.

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di Alessandro Carli

 

SAN MARINO – Con il denso monologo 44. Il coraggio della scelta di Eugenio Sideri, l’attrice sammarinese Patrizia Bollini (foto di Marco Parollo) prosegue la sua indagine scenica sulle Grandi Donne del Novecento, quelle senza voce e senza parole. Se ieri era Alfonsina Strada – l’unica donna al Giro d’Italia del 1924 raccontata nel delicato e faticoso Finisce per A (e che ancora circuita) – oggi l’attenzione del trio Bollini, Sideri e Tesauri (che ha firmato la regia) si sposta sulle 44 martiri partigiane della Resistenza ravennate, donne coraggiose che hanno sfidato le armi, staffette che hanno pedalato, vissuto, sognato (per) la libertà.

Candida Bondi, Natalina Vacchi, Ines Bedeschi, Osvalda Baffè. Eroine, nella loro semplicità rurale, che hanno avuto il coraggio di scegliere.

L’ouverture, poetica come accade quando i fatti sono già avvenuti, è bagnata come il pianto di una madre. Della madre di tutte le donne che si sono sacrificate: “Una lacrima scende, cade sulla polvere” recita, a voce bassa, Patrizia. Una lacrima che a contatto con la terra ha due possibilità: o viene assorbita oppure si mescola e diventa cemento. L’attrice sceglie la seconda strada, dialogando con una voce fuori campo (alla maniera dei primi lavori di Ascanio Celestini, per essere chiari) davvero funzionale al ritmo del racconto. In 50 minuti di assolo – tanto è durato lo spettacolo che è passato al Teatro Titano il 13 febbraio – Patrizia Bollini “vive” una Spoon River romagnola: nomi, tanti nomi, come quelli delle sorelle Misericordia, che si alternano ai fatti accaduti: lenzuola stese per avvisare che il pericolo è stato scampato, ma anche fucilazioni, amori giovanili fatti di promesse, lutti. In questo teatro civile che apre gli occhi, l’attrice utilizza due registri linguistici differenti, l’italiano per il recupero della memoria storica dei fatti e il dialetto per le battute: una formula che dà veridicità – semmai ce ne fosse bisogno – alle figure raccontate e che allo stesso tempo riesce ad alleggerire il dramma.

Si vola, in questo 44. Il coraggio della scelta. Ognuno nel proprio libro familiare. Si plana sulle ali di un gabbiano – quello di Giorgio Gaber di Qualcuno era comunista – e sembra di rivedere quei volti di donne dignitose, forti. Inaspriti dagli scontri ma pur sempre capaci di immaginare un domani. E soprattutto sempre capaci di amare.

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