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Carnevale? Tutti i giorni si indossano le maschere

da Redazione

Ne parla anche Pirandello ne “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”. Servirebbe abbandonare ogni travestimento ed essere “il meglio di noi”.

Maschera grande

 

di Simona Bisacchi

 

Girano le giostre con cavalli e carrozze.

Girano i bimbi nelle loro mascherine.

Arlecchino è sparito, ma tra i coriandoli camminano ancora tante damine.

A rinnovare una festa, che sa di dolci e stelle filanti, ma che affonda le sue radici nell’antichità, tra i riti pagani di greci e romani, che per pochi giorni all’anno festeggiavano il trionfo del caos sull’ordine, in un rito catartico che doveva concludersi con il ritorno a una rinnovata armonia.

L’antica ritualità è andata perduta.

Ciò che rimane è una piazza in festa, la voglia di colore sotto il cielo grigio di febbraio, e il divertimento di vestire abiti che non ci appartengono.

Per un attimo all’anno, puoi permetterti di indossare sfacciatamente una maschera.

Tanti proclamano che dovrebbe essere Natale tutti i giorni, perché si dovrebbe essere più buoni in ogni istante, non solo a fine dicembre.

Ma la realtà è che è carnevale tutti i giorni!

Perché tutti i giorni si indossano maschere.

“Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l’uno di fronte all’altro, diventiamo pagliacci?”, Luigi Pirandello lo domanda senza mezze misure (ne I quaderni di Serafino Gubbio operatore).

E senza mezze misure, racconta la desolazione che ne consegue, “C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo resti nessuno” (in Uno, nessuno, centomila).

Eppure non tutte le maschere vengono per nuocere… Un sorriso può essere contagioso per chi lo riceve e per chi lo indossa.

Il gesto severo di una madre contiene la stessa immensa quantità d’amore contenuta in un abbraccio.

Lo sguardo rassicurante dell’infermiera fa bruciare un po’ meno l’iniezione.

Ogni situazione richiede impegno, concentrazione e una buona dose di ironia per essere affrontata.

E per riuscirci a volte bisogna andare al di là di se stessi.

Bisogna mettere su un sorriso che non viene spontaneo. Una severità che costa fatica. Una capacità di rassicurare che fa a pugni con la propria insicurezza.

Anche queste sono maschere. Sono maschere che costano fatica ma che a lungo andare, invece di camuffare, portano alla luce.

In quella maschera da niente che ci mettiamo addosso, in quello sforzo, scopriamo capacità che non sospettavamo, sveliamo a noi stessi possibilità seppellite sotto tutto ciò che è più facile e immediato.

E ciò che prima compivamo obbligandoci, poi ci viene naturale. La maschera indossata si frantuma e rimane lo stupore.

Rimaniamo stupiti perché anche infreddoliti in mezzo a una piazza, con la pioggia sottile che penetra nel cappotto, siamo capaci di buttarla in ridere e far festa.

E nel mezzo del caos più totale siamo capaci di cogliere un minuscolo puntino di armonia e da lì ripartire a costruire un mondo.

E tra tante maschere indossate solo per raggirarci, o convincerci di ciò che in realtà non pensiamo, siamo capaci di scegliere una maschera che ci protegga e ci ispiri, fino ad arrivare ad abbandonare ogni travestimento ed essere – finalmente – semplicemente il meglio di noi.

 

Arlecchino

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