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Consorzio Terra di San Marino, Casa di Fabbrica: le candele e i lumi a petrolio

da Redazione

Riscopriamo una delle fonti di illuminazione più importanti per le famiglie contadine.

CTSM Cristian Lancioli candela

 

di Alessandro Carli

 

“Tra corpo e anima vige un rapporto materia-forma, come se l’anima fosse la vera forma del corpo. Chiedersi se corpo e anima siano la stessa cosa è come domandarsi se sono la stessa cosa la cera e la forma della candela”.

L’acume di Aristotele non smette di riscaldare e di illuminare, anche oggi, le menti. Cera e candele difatti non sono la stessa cosa anche se il legame è abbastanza stretto: la prima serviva per fabbricare (anche) le seconde. La conferma arriva dalla Casa di Fabbrica, sede del Consorzio Terra di San Marino dove, proprio sopra al caminetto, trovano posto due “luci” del passato, una candela e un lume a petrolio.

Certo, oggi la loro funzione è cambiata rispetto al passato: spesso, e lo sanno bene le persone dal cuore romantico, vengono impiegate per una cena speciale (soprattutto le candele), ma un tempo nemmeno tanto remoto rappresentavano, assieme al camino, una delle fonti di illuminazione più importanti per le famiglie contadine. La tradizione ci ricorda che alcuni lumi venivano alimentati anche con il petrolio o con l’olio lampante, un tipo di olio ‘povero’. Queste ‘luci’ servivano per rischiarire le stanze ma anche, viste le dimensioni, per illuminare le persone e i luoghi durante gli spostamenti.

Oggi le candele di cera sono diventati oggetti anche artistici – le forme sono le più variegate e spesso vengono utilizzate per profumare gli ambienti o per impreziosire qualche angolo di casa – ma un tempo la loro forma era quasi unica: a cilindretto allungato, qualche volta accompagnato da un supporto di ferro e legno, i cosiddetti candelieri, che alla base avevano un “contenitore”, una specie di “piattino” per raccogliere la cera che colava. La fiammella tremolante rischia di portare altrove quindi ci soffermiamo sulla costruzione delle candele. Per crearne una si impiegavano materiali di facile reperibilità come la corda, utile per fare lo stoppino, la cera d’api, la paraffina e il sego (un sottoprodotto della lavorazione dei grassi animali, ndr). Le candele comunque servivano anche per funzioni votive o religiose: una tradizione ancora in auge. Quelle costruite con la cera d’api bruciano e più a lungo rispetto a quelle realizzate con paraffina.

Le candele affondano le proprie radici nelle notti dei tempi: già ai tempi dell’antico Egitto venivano fabbricate, sembra, con le fibre di papiro ricoperte dalla cera mentre gli Etruschi le facevano con giunchi secchi ricoperti sempre di cera oppure di grasso di animali. Altrettanto antica, se non di più, è la storia delle lampade a olio: Omero le menziona nell’Odissea (XIX, 34). Le prime lampade erano prive di coperchio e consistevano in un contenitore piatto con un beccuccio per lo stoppino sul bordo. Quelle custodite dentro la Casa di Fabbrica avevano spesso una “campana” di vetro che proteggeva la fiammella. Sia dalla possibilità che il fuoco potesse in qualche modo “bruciare” qualcosa – dalla paglia al legno – che per ripararla dal vento e quindi per evitare che si spegnesse. Una luce “mobile” quindi, utilissima per i lavori che si facevano all’imbrunire o semplicemente per quando ci si sedeva a tavola per cena. Ma è ancora la candela, così viva quando si muove, a colpire la nostra attenzione. E la mente vola e si riscalda, e vola nel passato. Spontaneo è il pensiero ai Mangiatori di patate di Van Gogh, opera bellissima del 1885 in cui il Maestro rappresenta cinque contadini seduti intorno a un tavolo di legno per consumare una misera cena, illuminati solo dalla luce fioca di una lampada a olio sospesa sopra le loro teste.

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