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Visto per voi a teatro: “Piccole storie inutili” di Daniele Torri & Loser, baby

da Redazione

È un album complesso, o per meglio dire “ricercato”, a tratti piacevolmente Barocco e senza dubbio “sociale” quello presentato agli Atti di Rimini.

Daniele Torri post concerto

 

di Alessandro Carli

 

RIMINI – I riferimenti che si possono scorgere nel titolo del primo album di Daniele Torri & Loser, baby, presentato il 15 gennaio sulle assi del Teatro degli Atti di Rimini, rimandano in prima battuta a Storia di un minuto della Premiata Forneria Marconi e, sottotraccia – ma solo dopo una ricerca più per assonanza che per poetica – all’ellepì Stanze di vita quotidiana e alla canzone Piccola storia ignobile di Francesco Guccini.

Ma a un ascolto live di Piccole storie inutili i dubbi si sciolgono subito: siamo nel cuore del progressive e del rock – del resto anche quando suonava e cantava nei Trobàr Clus si respiravano questi echi -, della world music, della sperimentazione più raffinata che ha avuto come maestri assoluti di Jethro Tull (come Ian Anderson, anche Daniele Torri suona il flauto traverso).

Un concept album, questo “diario” solo apparentemente inutile: ovvio è che tutto possono essere gli undici pezzi che danno corpo al disco tranne che privi di utilità. Perché sono storie, nugae per dirla alla maniera di Catullo, piccoli racconti di vita che trovano una dimensione nuova, e quindi diversa, tra le righe del pentagramma.

Sul palco, assieme a Daniele Torri (voce, flauto traverso, sax tenore e composizioni), troviamo anche Enea Bollini (chitarra elettrica e classica), Michele Parma (chitarra elettrica e acustica), Eros Rambaldi (contrabbasso), Lucia Solferino (violino), Alessandro Bolsieri (sax contralto e baritono) Federico Lapa (percussioni), Matteo Patrignani (batteria) e un quartetto d’archi.

Ad emergere, nell’esecuzione dei brani che, in nuce, contengono spesso impronte che provengono dal mondo del sociale, sono soprattutto gli strumenti: le parole servono come tappeto su cui appoggiare i piedi, da cui spiccare il volo (o il viaggio) verso l’ignoto. Come in Bivio, pezzo dedicato alle scelte da compiere, ma anche Verso Sud, ispirata al “Signore degli anelli”. Ma è nel trittico che racconta l’immigrazione che “esce” l’anima dell’album: Rosa del deserto, Quattrocento eroi e Ultimo sono affreschi nitidi che mettono al centro il dramma dell’abbandono di una terra, la patria, la “Matria” – lì dove il Paese di origine è una Mamma -, che viene abbandonata con un addio.

È un album complesso, quello firmato da Daniele Torri, o per meglio dire “ricercato”, a tratti piacevolmente Barocco: tante le note degli strumenti che dialogano con la voce, tante le scritture e i verbi impiegati, quasi a voler trovare negli interstizi e nelle scintille che accadono una modalità di racconto sonoro.

In scaletta hanno poi trovato spazio un paio di cover – Impressioni di settembre della PFM e un pezzo di Jeff Buckley –, Lampare (sempre imperniato su quello che il mare trasporta e spesso, umanamente, restituisce), Non sei tu e la conclusiva Portami a casa, che chiude idealmente il cerchio del viaggio di questo interessante Odisseo.

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