La scorticatura però non si ferma all’arto: si fa arte, urlo disperato di togliersi via dal corpo quella maschera raggrinzita per diventare una farfalla.
di Alessandro Carli
SAN MARINO – Diretto come un ceffone in pieno volto, per nulla addolcito dall’uso sapiente e funzionale del dialetto, elemento fonetico che riporta al passato, a quella tribalità paesana e contadina estremamente terrigna, dolorosa, a tratti dimenticata. Con La scortecata, passato al teatro Titano domenica 12 gennaio, la regista e drammaturga Emma Dante conferma quello che già sapevamo della sua straordinaria poetica visiva e visionaria: ha un talento cristallino che mette a disposizione del pubblico e una capacità di “fare teatro” non comune e quasi antico. Anche in questo dialogo “sugli e degli emarginati” emerge nitida vis che caratterizza da 20 anni i suoi lavori (dal meraviglioso mPalermu in poi). Perché a Emma Dante interessa l’uomo, i suoi rapporti sociali, la forza della parola e dei silenzi.
Scenografia minimalista – sul palco troviamo solamente due sedie, un castello giocattolo e una porta stesa sul boccascena – ed essenziale, quasi a voler eliminare ogni possibile elemento di disturbo per concentrarsi sui protagonisti/e, due attori, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola (nella foto di Franco Lannino), che diventano due sorelle, Rusinella e Carolina, nel rispetto della tradizione settecentesca che voleva i ruoli femminili interpretati da uomini. Due donne già vecchie alle quali la vita ha deciso di donare una bruttezza talmente profonda e irruenta da risultare, per contrasto di estremi e anche a causa della povertà che sono costrette a vivere, quasi belle.
È una fiaba noir lunga sessanta minuti senza intervallo, quella che raccontata ne La scortecata: fiaba ma non favola perché qui si incontra sì un re che si è invaghito di una di loro, Rusinella. Ma non delle sue fattezze bensì della voce. L’uomo vorrebbe toccare le mani di quella che crede una bellissima giovinetta e così le due sorelle si impegnano a dare una forma snella al mignolo della prescelta, “instortito” a causa dell’età (da qui la scorticatura). Il re, attraverso una pratica d’antan del “Gloryhole” – scevra però di ogni accezione erotica – vuole difatti toccare il dito di Rusinella attraverso la serratura di una porta. Le due così passano il tempo a “succhiare” il mignoletto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, finché – anche grazie alla cura notturna nel sedere – si raddrizza.
La scorticatura però non si ferma all’arto: si fa arte, urlo disperato di togliersi via dal corpo quella maschera raggrinzita per diventare una farfalla.