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Visto per voi al teatro Titano: “Sei” della compagnia siciliana Scimone-Sframeli

da Redazione

Una pièce fresca che non tradisce il pensiero di Pirandello ma piuttosto lo rende più fruibile, anche grazie ad alcune battute contemporanee, sagaci e grezze.

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di Alessandro Carli

 

Quando lo spettacolo debuttò nel 1921, al Teatro Valle di Roma, la platea contestò la messa in scena al grido: “Manicomio! Manicomio!”. Con i “Sei personaggi in cerca d’autore” il pubblico si trovò di fronte a qualcosa di completamente inedito, un assalto alla forma del teatro borghese, una non-storia in cui a essere messi sotto indagine non erano solo il meccanismo teatrale e la creazione artistica, ma lo stesso rapporto tra realtà e finzione. All’uscita Luigi Pirandello venne riconosciuto, circondato e sommerso di impropri: molte signore in abito da sera espressero il proprio dissenso lanciandogli addosso piccole monete ramate.

 

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A distanza di quasi un secolo il testo è stato “recuperato”: è stata cioè capita – perlomeno parzialmente – la sua forza e il suo raccontare, pirandellianamente, quel concetto straordinario di “metateatro”, di teatro nel teatro, di quell’idea di abbattimento della quarta parete, conditio sine qua non per rappresentare sul palco la vita borghese alla platea.

 

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Bellissimo. Bellissimo. Bellissimo. Bellissimo. Bellissimo. Bellissimo. Sei volte “Bellissimo”. Nel superbo e applaudito “Sei”, versione “bonsai” (un’ora tonda) di uno dei capolavori di Luigi Pirandello firmato dalla compagnia Scimone-Sframeli e passato al teatro Titano di San Marino, la conferma di due eccellenze: quella dell’opera e quella del gruppo siciliano, capace di togliere la polvere del tempo all’opera attraverso un processo scritto di modernizzazione. Attento è per esempio il lavoro operato sulla Figliastra che a un certo punto canta “La mula de Parenzo” ma che quando esplode nella risata lo fa omaggiando la grande Rossella Falk.

 

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In piena filosofia dell’ultimo teatro del Nobel di Girgenti, anche i “Sei personaggi in cerca d’autore” sono più un testo drammaturgico che scenico. In “Sei” (foto di Gianni Fiorito) però la compagnia esfolia le parti più filosofiche dell’opera, concentrandosi sulla storia “per il palco”. E quello che esce è una pièce fresca che non tradisce il pensiero di Pirandello ma piuttosto lo rende più fruibile, anche grazie ad alcune battute contemporanee, sagaci e grezze.

 

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Il dramma comincia su un palco in allestimento. Proprio qui i sei personaggi potranno raccontare le loro storie mentre alcuni attori provano il secondo atto di un’opera teatrale. I sei personaggi della commedia si sostituiscono agli attori e sono persone comuni: il Padre, la Madre addolorata, la Figlia selvaggia o Figliastra, il Figlio, una Bambina e un Giovinetto. Interviene il direttore-capocomico che, anche se inizialmente indispettito dall’interruzione delle prove, lascia poi che i sei personaggi raccontino il loro vissuto, anche se in un modo caotico e confuso.

I personaggi del dramma di Pirandello appaiono vivi e reali agli occhi del pubblico ma l’autore non dà loro una forma definitiva, concedendogli invece la massima libertà di espressione e di movimento scenico. In questo modo l’autore affronta il tema della comunicabilità, ovvero il rapporto tra capocomico e compagnia teatrale che segue senza poter far nulla le vicende dei sei personaggi. Non c’è immedesimazione e i fatti vengono rappresentati con artificiosità. La conseguenza di ciò è che, da un certo punto in poi, la scena viene rubata dai personaggi.

Nel dramma di Pirandello emerge in maniera egregia quella che è la discordanza tra attore e personaggio e questo fatto rende l’opera uno dei testi teatrali di maggior rilievo della letteratura italiana. Attore e personaggio non possono mai divenire una sola unità.

 

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Così anche qualche manierismo un po’ spinto – che in questo “Sei” diventa muscolare e ruggente rappresentazione di una vera finzione – è teso a raccontare la frattura tra i personaggi e gli attori: non si salva nessuno dal dramma della vita. Solo i primi, “Quando si è capito il giuoco”, possono permettersi di vivere. In scena. Non altrove: solo sulle assi di un teatro.

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