Non parliamo di Guccini ma di Guttuso (70 anni) e di Tornatore (26). Il futuro regista premio Oscar girò un documentario sulla vita del Maestro.
di Simona Bisacchi
Nel 1982, un ragazzo di ventisei anni, che si faceva chiamare Peppuccio, realizzò un documentario dedicato a Renato Guttuso, all’epoca settantenne.
Il ragazzo e il pittore erano entrambi siciliani.
Entrambi di Bagheria.
Peppuccio avrebbe iniziato solo più tardi la sua carriera di regista cinematografico, arrivando a ricevere l’Oscar per “Nuovo cinema Paradiso”.
Ma in quel momento Giuseppe Tornatore era il giovane ideatore e regista delle due puntate di “Diario di Guttuso”, in cui il pittore raccontava il suo lavoro, la sua Sicilia, la sua poetica.
Un documentario che merita di essere visto non solo per conoscere qualcosa di più dell’artista, ma per poterlo guardare negli occhi.
Per poter afferrare quello sguardo sovraccarico della malinconia e dell’irruenza di chi – come lui stesso ha dichiarato – ha passato tutta la vita a dipingere al meglio che poteva, nel bene e nel male, credendoci fino in fondo, fino all’errore.
Un artista parla solo delle cose che conosce, secondo Renato Guttuso.
Parla delle cose che sa.
Delle cose con cui ha vissuto una comunione profonda da sempre.
“Pirandello ha raccontato i pettegolezzi della farmacia di Porto Empedocle e questi li hanno capiti in Alaska, in Giappone. Sempre, quando si dice qualcosa di vero, di profondo, questo diventa universale, perché il cuore umano ha una parte universale”.
Un’universalità che abita nell’uomo e che permette all’uomo di progredire.
Perché, nelle parole dell’artista, anche il concetto di progresso non prescinde dalla profondità, dall’umanità, dalla presa di coscienza del singolo che diventa poi patrimonio comune.
“Il progresso si aiuta sia con le azioni dirette, ma soprattutto con le azioni indirette, cioè con la verità che tu sei capace di scoprire nella realtà, con quello che tu scopri di profondo – questo sottolinea il pittore siciliano – Quando tu scopri qualcosa di profondo, aiuti il progresso anche se immediatamente questo non dà frutto”.
La verità così si spoglia di ogni astrattismo, per diventare una meta da raggiungere attraverso la realtà, attraverso la vita vissuta senza fermarsi alla superficie, senza accontentarsi delle risposte più comode.
“Guardando dentro al tuo petto, come diceva Giacomo Leopardi, tu guardi anche nel petto degli altri e riesci a dire delle cose che sono di tutti, che sono comuni, sono semplici, sono elementari ma le riesci a fissare in un modo tale che possono valere anche per altri. E dopo di te, speriamo”.
Nel documentario, spezzoni di filmati delle teche Rai si alternano all’intervista di Giuseppe Tornatore a Renato Guttuso, per raccontarci quanto sia scomoda, sempre all’erta, ma piena di immagini e colori, la vita di chi – “nel bene e nel male”, “credendoci fino in fondo” – cerca di fare del proprio mestiere, della propria esistenza o della propria giornata un’opera d’arte.