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Una virtù da indirizzare verso qualcosa di veramente sincero

da Redazione

Parliamo della speranza: deve essere “allenata” da tutti ogni giorno. Da Papa Giovanni XXIII a Enzo Biagi, riflessioni profonde sull’uomo.

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di Simona Bisacchi

 

Si dice che la speranza sia una virtù.

E come ogni virtù va indirizzata verso qualcosa di sincero, e non egoistico: i desideri capricciosi di bambini viziati non hanno nulla a che fare con lei.

Inoltre va allenata.

Implica, quindi, delle azioni da mettere in pratica, un impegno costante, perché non si può pretendere di saltare sopra il treno giusto se non si va mai in stazione.

La speranza ispira, nel torpore dei giorni.

Sprona, quando ci si sente deboli.

È un gancio – apparentemente appeso nel nulla – che solleva dal fango quel tanto da riuscire a guardarsi intorno e scovare una soluzione.

O almeno un motivo per farsi una risata.

È quella capacità che aiuta ad affrontare le difficoltà del presente, senza essere terrorizzati dal futuro.

“Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni – proclamava papa Giovanni XXIII – Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare”.

La sua assenza è una delle cause dello sfacelo contemporaneo, secondo il giornalista Enzo Biagi: “La mancanza di valori, l’individualità sempre protagonista rispetto al comune agire, l’egoismo sfrenato e, soprattutto, l’assenza di speranza, possono essere alcune delle ragioni che hanno portato la corruzione e il degrado nella nostra società”.

Perché, in fondo, chi non è più in grado di sperare – sperare di cambiare, di fare di meglio – per cosa combatte? Per chi combatte?

Senza speranza è perduta la voglia di agire.

E anche la voglia di pensare con la propria testa.

Produrre idee, e smuovere montagne per attuarle, costa una fatica immane, una fatica inumana se non è sospinta da quella forza impalpabile e allo stesso tempo di ferro.

Eppure sembra che la quotidianità voglia portarci proprio fino a lì.

A non sperare più.

A non credere più.

A lasciarci andare in un limbo di tragedie quotidiane che scorrono sullo schermo, immobilizzati, mentre dovremmo essere artefici di quei cambiamenti che tanto pretendiamo dagli altri.

“Il valore di ciò che facciamo consiste nell’atto – spiega il drago Saphira al suo deluso amico umano Eragon, nel primo libro della saga di Cristopher Paolini – Il tuo valore ha fine quando ti arrendi e non provi più il desiderio di cambiare, di vivere la vita. Ma hai parecchie strade davanti a te: scegline una e dedicati a essa anima e corpo. Saranno le azioni a darti una nuova speranza e un nuovo scopo”.

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