La Legge, votata all’unanimità, prevede maggiori tutele per i risparmiatori (e i fondi pensione), anche per generare più fiducia nel sistema. L’obiettivo è creare una strada alternativa alla liquidazione coatta, con tre soluzioni (anche insieme): cessione a “terzi” o a un “ente-ponte”, oppure intervento dello Stato.
di Daniele Bartolucci
Fiducia: risparmiatori più tutelati e con essi anche i fondi pensione depositati nelle banche sammarinesi. Questo l’obiettivo primario della nuova legge “Strumenti di risoluzione delle crisi bancarie a tutela della stabilità del sistema finanziario”, votata la settimana scorsa all’unanimità dal Consiglio Grande e Generale. In seconda battuta, complice anche l’approvazione simultanea delle Commissioni d’Inchiesta su Banca CIS e sulle altre crisi del sistema bancario, verranno coinvolti direttamente gli azionisti, ma soprattutto “i soggetti che hanno dolosamente o colposamente” causato o contribuito al dissesto ne rispondano “ai sensi di legge”. Tecnicamente, invece, il provvedimento amplia gli strumenti (ma non il tanto vituperato “bail in”, va specificato) per risolvere una crisi bancaria, evitando la liquidazione coatta amministrativa: la cessione di beni e rapporti giuridici a un soggetto terzo, a un ente ponte oppure, come “ultima istanza”, l’intervento pubblico. Soluzioni che potranno essere applicate da sole o in combinazione. Un provvedimento quindi ideato – anche se non espressamente – inizialmente per Banca CIS, ma che potrebbe venire utilizzato anche per altre banche in crisi in futuro, che comunque segna anche un altro punto importante: sulle cose serie, sulle priorità, la politica ha ritrovato compattezza e ha messo da parte schermaglie di partito.
IL “DISSESTO” E “L’INTERESSE PUBBLICO”
“Il concetto di ‘dissesto’ è alla base della normativa in esame e costituisce, per il quadro normativo esistente in materia bancaria, un istituto nuovo”, si legge nella relazione accompagnatoria alla Legge. “Il dissesto è previsto nella normativa in tre forme, anche alternative tra loro: un livello di attività inferiore a quello delle passività, che presuppone un azzeramento del capitale ed un deficit patrimoniale; l’impossibilità della banca di pagare le proprie passività alla scadenza;
il mancato rispetto dei requisiti per il mantenimento dell’autorizzazione a seguito di perdite subite o previste, tali da azzerare il patrimonio di vigilanza. Le tre forme di manifestazione del dissesto sono peraltro contemperate dalla possibilità di un intervento tempestivo per ripristinare l’equilibrio patrimoniale, di liquidità o, nel terzo caso, in presenza di un piano di riallineamento approvato dalla Banca Centrale”. Va da sé che “in tali casi il dissesto viene assorbito e la procedura di Risoluzione non si attiva”. Invece, “per quanto concerne le modalità di attuazione della Risoluzione, appare rilevante evidenziare che tale istituto può essere attivato dalla Banca Centrale nell’ambito dell’esercizio delle funzioni di vigilanza, quindi non necessariamente per una banca già sottoposta all’Amministrazione Straordinaria, al pari di quanto previsto dalla legge (art. 85 della LISF) anche per la Liquidazione Coatta Amministrativa. L’attuazione della Risoluzione segue un principio cardine di particolare importanza: la rimozione del deficit patrimoniale costituisce l’elemento di partenza da cui scaturiscono tutti gli elementi della procedura, in assenza del quale o in presenza di elementi che non rimuovono in maniera effettiva il deficit di capitale, l’intera procedura di Risoluzione non può attivarsi e la banca ha come unica prospettiva la Liquidazione Coatta Amministrativa”. Al contrario, “la rimozione del deficit patrimoniale viene eseguita tramite un intervento dello Stato con una procedura che prevede il passaggio in Commissione Finanze, per un vaglio politico che autorizza l’intervento finanziario per la predetta rimozione. La presenza di un deficit patrimoniale determina, preliminarmente, un immediato azzeramento del capitale sociale e con questo dei diritti di voti degli azionisti, che quindi vengono esclusi dalla procedura di Risoluzione. Gli strumenti della Risoluzione, espressi all’art. 3, sono applicati (individualmente o in combinazione tra loro) solo a seguito della rimozione del deficit e quindi su una banca in possesso di un attivo di qualità ed in grado di rimborsare il passivo”. Inoltre, “tra i cardini della procedura di Risoluzione assume rilevanza il concetto di interesse pubblico, che viene rilevato all’art. 4 comma 8, per indicare come nei ricorsi giurisdizionali amministrativi previsti ai sensi del precedente comma 7, sia presunto fino a prova contraria che la “sospensione dei provvedimenti sarebbe contraria all’interesse pubblico”. Inoltre nel successivo comma 9 del medesimo articolo è prevista la possibilità per il giudice di annullare il provvedimento lasciando “… impregiudicati gli atti amministrativi adottati o i negozi giuridici posti in essere dalla BCSM sulla base del provvedimento annullato”. Infine, sempre nel medesimo articolo, il comma 10 prevede che l’Autorità di Vigilanza possa ottenere dal giudice la sospensione di ricorsi amministrativi per “… un periodo congruo al perseguimento degli obiettivi della risoluzione”.
TUTELATI I RISPARMI: CRESCE LA FIDUCIA
Il primo obiettivo era riconquistare un po’ di fiducia, del resto le banche vivono di essa, ma anche il sistema San Marino in generale. Il risparmio, depositato in qualsiasi forma presso una banca, era infatti sottoposto al rischio di essere aggredito nei casi di dissesto finanziario, mentre con le nuove norme si introduce un criterio basilare: (Art. 9 – Passività protette) “Tutte le passività della banca sono protette, salvo quanto di seguito previsto”. Ovvero, “la protezione di cui al comma precedente è riconosciuta nei limiti di cui all’articolo 100 della LISF nei confronti dei seguenti soggetti: a) azionisti rilevanti, rispettivi titolari effettivi ed eventuali soggetti interposti, che detengono oltre il 25% dei diritti di voto. Rilevano anche le partecipazioni detenute per almeno 18 mesi nei 24 mesi antecedenti l’adozione del provvedimento di risoluzione o, se antecedente, del provvedimento di amministrazione straordinaria della banca. Nel caso di partecipanti al capitale della Banca che siano Fondazioni ovvero Associazioni ovvero enti analoghi, con o senza personalità giuridica, non sono ricomprese le passività riconducibili ai titolari effettivi individuati sulla base del criterio residuale connesso all’esercizio di poteri di amministrazione e direzione di soggetti partecipanti al capitale delle banca, ai sensi dell’art. 1-bis, comma 1, lett. b) dell’Allegato Tecnico alla Legge 17 giugno 2008 n. 92; b) clienti e rispettivi titolari effettivi, residenti, aventi sede ovvero costituiti in: a. Paesi ad alto rischio di cui all’art. 16 undecies della Legge 17 giugno 2008, n. 92 e successive modifiche; b. Paesi, territori o giurisdizioni sottoposte a misure restrittive dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; c. Paesi con carenze strategiche in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo individuati dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI). Sono ricomprese le passività riconducibili ai medesimi soggetti detenute per il tramite di fiduciari e/o persone interposte; c) soggetti nei confronti dei quali sia stata emessa una condanna passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione, relativamente a reati rilevanti e a frodi fiscali commessi a San Marino o all’estero, risultanti da fonti attendibili e indipendenti ossia che abbiano un carattere di terzietà rispetto al cliente”. Inoltre “le passività riconducibili a soggetti iscritti a ruolo ai sensi della Legge n. 70/2004 non sono protette nei limiti del debito esattoriale” e “le passività, la liquidità e gli strumenti finanziari afferenti dossier amministrati e/o gestioni patrimoniali riconducibili ad azionisti rilevanti, rispettivi titolari effettivi ed eventuali soggetti interposti, nei confronti dei quali siano state avviate azioni giudiziarie per accertare eventuali responsabilità nello stato di dissesto della banca, non sono esigibili né possono essere restituiti fino a sentenza passato in giudicato”. Infine, “le passività, la liquidità e gli strumenti finanziari afferenti dossier amministrati e/o gestioni patrimoniali riconducibili a esponenti aziendali e all’alta dirigenza della banca nei confronti dei quali siano state avviate – entro tre mesi dall’adozione del provvedimento di risoluzione – le azioni di responsabilità di cui al successivo articolo 12, non sono esigibili né possono essere restituiti fino a sentenza passato in giudicato”.
L’ENTE-PONTE” E L’INTERVENTO PUBBLICO
In pratica, stabilite le “tutele” di cui sopra, e una volta che le perdite saranno ripianate (fino al pareggio tra attività e passività), si attuerà la cessione (art. 6) al “soggetto terzo” (un’altra banca o un nuovo investitore) oppure (art. 7) ad un “ente-ponte”. Si tratta di “una società di capitali costituita per gestire beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi del presente articolo, con l’obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalla banca sottoposta a risoluzione e, quando le condizioni di mercato sono adeguate, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate”. Il suo capitale “è interamente o parzialmente detenuto dalla BCSM, dal Fondo di tutela dei depositanti e dall’Ecc.ma Camera”.
Altro capitolo, invece, è dedicato all’intervento pubblico: è previsto infatti un sostegno finanziario straordinario agli istituti di credito in difficoltà, ma solo come “soluzione di ultima istanza”. Interessante il comma 5 dell’art. 15, che recita: “Gli strumenti pubblici di sostegno al capitale sono attivati solo previa approvazione dalla BCSM, da parte della banca che ne beneficia, di un piano di ristrutturazione che consenta il ritorno”. Anche in questo caso, comunque, dovrà essere agevolata la cessione ai privati appena il mercato la renderà possibile.
NORME PIÙ STRINGENTI VERSO CHI HA PORTATO LA BANCA IN CRISI, PER DOLO O PER “COLPA GRAVE”
Nuovi interventi anche per quanto riguarda le azioni di responsabilità verso chi ha portato al dissesto della banca. “Le responsabilità degli organi sociali, dell’alta dirigenza e della società di revisione in ordine a fatti omissivi o commissivi, che hanno concorso a determinare la situazione di dissesto della banca e/o a determinare per dolo o colpa grave una errata rappresentazione della situazione economica e patrimoniale della banca sottoposta a risoluzione sono accertate anche tramite le evidenze oggettivamente documentate, riportate nei rapporti ispettivi redatti dalla BCSM in esito ad accertamenti conclusi nei 24 mesi antecedenti l’adozione del provvedimento di risoluzione”. Non solo: “I fatti accertati nei predetti rapporti sono considerati fondati sino a prova di falso. L’avvio dell’azione di responsabilità inibisce l’assunzione ovvero la prosecuzione di analoghi incarichi presso altri soggetti autorizzati sottoposti alla vigilanza della BCSM”. Resta valido il fatto che “Le azioni sono esercitate ai sensi degli articoli 56, 64 e 71, comma 1, della Legge 23 febbraio 2006 n.47 e successive modifiche. Si applicano, per quanto non diversamente disposto dal presente articolo, gli articoli 14, 15 e 16 del Decreto Delegato n. 77 del 19 maggio 2014”. La novità semmai che “il provento netto delle azioni di responsabilità è destinato all’Eccellentissima Camera in caso di interventi pubblici di stabilizzazione finanziaria di cui agli articoli 15 e ss. della presente legge”. Nel merito, “l’azione è esperibile dagli amministratori speciali, sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione da parte della BCSM e prosegue, al termine della procedura di risoluzione, in capo all’Eccellentissima Camera”.
In tal caso, “il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità di cui al presente articolo è pari a cinque anni decorrenti dalla data del provvedimento di risoluzione che accerta lo stato di dissesto”. “Ai fini del recupero delle somme di cui al comma 3, sono considerati inefficaci per frode presunta, salvo prova contraria, i prelievi di contante eccedenti i duemila euro mensili e i trasferimenti di fondi e di strumenti finanziari disposti dagli esponenti aziendali e dall’alta dirigenza a favore di sé medesimi e/o di soggetti interposti su conti accesi presso altre banche nei 12 mesi antecedenti l’avvio della procedura di risoluzione o delle procedure straordinarie di cui agli artt. 77 e ss. della LISF”. Insomma, un’azione decisa verso i “responsabili”.