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Antonio Ligabue, il “Van Gogh” del Novecento a San Marino

da Redazione

Il Maestro in mostra con 50 opere nella sala espositiva della SUMS. L’esposizione grazie alla sinergia tra Segreterie di Stato, Carisp e C.O.R.

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di Alessandro Carli

 

L’accostamento a Van Gogh che Stefano Marsigli Rossi Lombardi, Vice Direttore Generale di Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino ha tratteggiato parlando di Antonio Ligabue sintetizza con precisione l’arte del grande pittore, in mostra nelle sale espositive di Palazzo S.U.M.S. di San Marino.

“Antonio Ligabue tra genialità, talento e follia” vuole essere un percorso attraverso la vita e l’arte del pittore nato a Zurigo, un’esistenza dominata dalla solitudine, dall’emarginazione, riscattata solo da uno sconfinato amore per la pittura. Un racconto biografico e artistico che si snoda attraverso i temi principali entro i quali si sviluppa l’universo creativo del pittore.

Le opere in mostra – ben 50, provenienti da collezioni private, tra cui 5 dipinti mai presentati al pubblico – rivisitano l’intero percorso di Ligabue, dalla fine degli anni Venti ai primi anni Sessanta, presentandone, secondo due filoni che s’intrecciano nell’allestimento espositivo, lo sviluppo cronologico (suddiviso in tre periodi, sulla base dello schema interpretativo messo a punto da Sergio Negri) e lo scavo nei motivi cui si dedicò: gli autoritratti, un capitolo di amarissima poesia, nel quale Ligabue impietosamente racconta il suo volto, rivelando attraverso una liturgia di immagini sempre uguali i tratti della sua anima, ma con la costante riaffermazione del suo valore e della sua identità d’artista: “Io sono un grande artista. Quando sarò morto i miei quadri costeranno tanto!”; gli animali esotici e feroci, impegnati in una perenne contesa per la loro sopravvivenza, ma anche quelli vicini all’uomo nella vita domestica; i paesaggi agresti, un intrecciarsi dei ricordi mai sopiti dei paesini incantati della Svizzera con i campi padani. L’asprezza espressionista del pittore penetra nelle nostre anime attraverso il convulso e ardente procedimento creativo, il colore vissuto sulla tela nutre la fantasia degli spettatori, con i paesaggi, gli intensi autoritratti, dipinge l’esperienza originaria dell’uomo. L’arte di Ligabue porta in sé la visione di una forza interiore, alla dimensione della memoria, agli stimoli della quotidianità. “Ligabue non può non sorprendere, non sgomentare, e non convincere con lo spettacolo sbalorditivo di questa sua tenebrosa violenza e magica perizia di pittore” scriveva già nel 1961 Giancarlo Vigorelli, nella presentazione della mostra alla Galleria Barcaccia.

Un’esposizione interamente dedicata al genio tormentato, originario della Svizzera tedesca, ma che a Gualtieri – sulle rive del Po – visse fino alla morte dopo essere stato espulso dal Paese natale nel 1919. Autodidatta, grazie a una visionarietà e a una capacità di trasfigurazione straordinarie, raggiunse quella dimensione pittorica di espressionista tragico, profondamente umana e intrisa di una sensibilità viscerale che gli valsero la conquista di una propria identità e, dopo fatiche e ostracismi, i riconoscimenti da parte di appassionati e di storici dell’arte.

Lungo il sentiero solitario della sua arte trovò il riscatto dalla penombra in cui la diversità l’aveva relegato, fino ad attirare l’attenzione della critica neorealista quando ancora era in vita.

L’esposizione, patrocinata dalle Segreterie Affari Esteri, Cultura e Turismo, è stata curata da Francesca Villanti e Francesco Negri, con l’organizzazione di C.O.R. Creare Organizzare Realizzare sotto la direzione generale di Alessandro Nicosia, il contributo di Cassa di Risparmio e la partecipazione della Fondazione Museo Antonio Ligabue e del Comune di Gualtieri (RE).

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