SAN MARINO – In questi giorni viviamo una situazione di bombardamento mediatico dove i comitati del sì e del no, sostenendo ognuno le proprie tesi, ci indirizzano verso il voto referendario del 2 Giugno. Con questo mio articolo vorrei allargare il ragionamento, tralasciando i discorsi sentiti e risentiti, cercando di chiarire un aspetto sul quale si sta concentrando la campagna del Comitato per il no, ovvero a che cosa ci si riferisce quando si parla di “ballottini”. La modifica proposta, per chi ancora non si sia informato, prevederebbe, in alternativa ad un ballottaggio diretto, una fase intermedia. In questa fase gli Ecc.mi Capitani Reggenti affiderebbero alla lista o coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti al primo turno senza però raggiungere il 50%+1 dei consensi, un mandato di 15 giorni per realizzare una maggioranza consigliare. Ho sentito parlare e presentare questa fase utilizzando in maniera impropria, distorta o strumentalizzata il termine ballottino quando in realtà si dovrebbe parlare di dialogo o accordo. Il dialogo, l’accordo ed il compromesso rappresentano infatti la vera natura della politica ed è forse quello che ultimamente abbiamo perso o dimenticato affidandoci ai meri esiti numerici di meccanismi elettorali come quelli del ballottaggio. Con ballottino normalmente si intende qualcosa di nascosto o di oscuro, un imbroglio organizzato alle spalle dei cittadini, mentre, in realtà, il mandato reggenziale rappresenterebbe una chiara e visibile scelta che porterebbe con sé dirette responsabilità delle singole liste o coalizioni forse in misura maggiore che con l’attuale sistema. Sembrerebbe utopica questa affermazione, ma in realtà la lista o la coalizione a cui viene affidato il mandato, si esporrà direttamente ad una responsabilità molto maggiore sia nei confronti del proprio corpo elettorale, che di tutta la popolazione sammarinese. La lista o la coalizione con il maggior numero di voti si assumerebbe realmente tutte le responsabilità della propria scelta futura, rischiando di pagare da sola le colpe dirette ed indirette di un suo eventuale futuro fallimento. Sicuramente la possibilità di presentarsi al primo turno ed al ballottaggio con gli schieramenti pronti è sinonimo di trasparenza e chiarezza, ma Il dialogo e non ballottino, come si preferisce squalificarlo, non limita la chiarezza, ma la trasferisce ad un momento successivo senza provocare distorsioni della rappresentatività in seno al Consiglio del voto espresso dai cittadini, attraverso il premio di maggioranza come è accaduto proprio nel 2016. La possibilità di coalizzarsi prima, esprimendo quindi una chiara volontà politica e programmatica verso il proprio corpo elettorale, responsabilizzerebbe maggiormente chi, successivamente, dovesse realmente compiere, di fronte a tutta la cittadinanza ed al suo corpo elettorale, la scelta. Se al primo turno infatti ogni lista o coalizione ha la responsabilità di riuscire a convincere gli elettori dell’affidabilità del proprio programma e della propria linea politica, inserendo questa fase intermedia, si attribuisce a chi ha saputo cogliere le esigenze della popolazione raggiungendo una maggioranza relativa, un successivo atto di responsabilità e chiarezza. Questo secondo atto di responsabilità si estende alle liste o alle coalizioni che, tramite il dialogo politico ed un accordo successivo, arrivano a formare la nuova maggioranza, mentre l’opposizione che andrebbe a costituirsi non vedrebbe soffiarsi la propria legittima rappresentanza da semplici calcoli matematici. L’imbroglio o il ballottino, dunque, non sono concetti che rientrano in nessuna legge elettorale, proporzionale o maggioritaria che sia, ma vengono impropriamente introdotti da chi ha paura che il voto referendario possa, come negli ultimi periodi è accaduto, diventare un giudizio politico.
Un universitario del PDCS