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San Marino, UNAS: il regime transitorio è demagogia ed autolesionismo

da Redazione

SAN MARINO – Due o tre leggi di bilancio in corso d’anno e zero confronti. Quella che doveva essere una legge di assestamento di bilancio è diventato il “cavallo di Troia” in cui infilarci di tutto. Anni di lavoro e confronto per arrivare alla legge 166/2013, di fatto abolito con un articolo di 5 righe che ne inficia la valenza, per passare da una contabilità ordinaria ad una trattativa con un ufficio, finalizzato a garantire entrate fiscali anche in assenza di redditi!

Nell’approccio alla modifica del rapporto fisco contribuente, ci sono tanti problemi in ordine alla sostanza e di forma: non sono temi che possono essere bruciati così, senza confronto, analisi di opportunità, equilibrio ed equità.

Quando si parla di fiscalità, la prima legge che viene in mente non è la 166 2013, ma la carta dei diritti del 1974, che all’articolo 13 recita: “Tutti i cittadini hanno l’obbligo di essere fedeli alle leggi ed alle istituzioni della Repubblica, di partecipare alla sua difesa, e di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.”

Andare a prevedere forme di presunzione di colpevolezza degli imprenditori da compensare con non meglio specificati strumenti pseudo forfettari, finalizzati a proporre redditi non percepiti per far cassa, non lo vediamo molto come una virtù ma come una sconfitta del sistema, perché un sistema democratico basato su dei principi democratici, onesti e trasparenti non ha questo come obbiettivo.

Quando si parla di piccole imprese bisogna aver chiara la differenza tra imprese di capitale ed imprese individuali artigianali, commerciali, ecc. – Un’impresa individuale, se dichiara meno dei minimi, vuol dire che effettivamente più di così non ha percepito, perché pagando già la grossa parte su minimi importanti, oltre che a compiere un comportamento scorretto sia sotto il profilo civile, sia sotto il profilo penale, rischierebbe a fronte di un risparmio insignificante ed ingiusto, perde la propria sicurezza sociale, perché il welfare sanitario è commisurato sul valore del reddito dichiarato.

Di contro, per analizzare i redditi delle piccole e medie imprese esercitate in forma societaria bisogna conoscerne aspetti non solo di natura giuridico economica, ma anche storico/sociologica.

Si alla lotta agli abusi. No alla demagogia fatta senza conoscere.

Esistono società che dichiarano zero, ma c’è situazione e situazione. In alcuni casi è morboso (e da perseguire), in altri c’è correttezza e motivazione.

Molte sono le società familiari, SRL, spesso virtuose anche se dichiarano “zero” perché frutto di una corsa – ingiustificata a volte – verso la trasformazione delle ditte individuali a società.

Se una SRL è composta da titolare e coniuge entrambi regolarmente assunti, anche se dichiara zero, quella società in realtà ha prodotto e dichiarato oltre 70.000 euro di utile, ovvero la retribuzione lorda dei 2 lavoratori nell’impresa. La stessa situazione gestita dalla tanto vituperata licenza artigiana cointestata avrebbe prodotto un utile lordo di 70.000 euro.

Si alla lotta agli abusi. No alla demagogia fatta senza conoscere.

I numeri devono essere interpretati, altrimenti si fa demagogia e si istiga lo scontro sociale con dei dati male interpretati usati per falsi sillogismi.

Siamo convinti che non serva un forfettario 2.0 per evitare di essere controllati a fronte del pagare di più ed avere una sorta di impunità… Ma servirebbe una semplificazione per togliere pesi ed adempimenti inutili.

Viene prospettata una serenità fiscale? Demagogia inapplicabile!

Noi vogliamo la serenità operativa, con la certezza dell’impunità garantita dal corretto comportamento.

Probabilmente l’estensore dell’idea non è a conoscenza che un ipotetico “forfettario 2.0” diventerebbe altresì il colpo di grazia verso le piccole imprese individuali, a favore delle medie e grandi esercitate in forma societaria.

Il carico fiscale per una impresa di capitale è pari al 17%, mentre per una impresa individuale è superiore al 42% (perché direttamente correlato c’è anche l’aspetto contributivo).

Se la serenità fiscale vuol dire dover accettare redditi molto superiori perché altrimenti vi è la minaccia ed il ricatto del sicuro accertamento fiscale, come possiamo essere d’accordo!

Nessuno si illude che il tanto decantato algoritmo certificatore della giusta proposta sia tarato al ribasso.

Vero sarà il contrario. Se un reddito che garantirà la “serenità fiscale” dovesse essere più alto, per ogni 10.000 euro produrrebbe maggiori costi pari a 1.700 euro per le società e oltre 4.200 euro per gli artigiani e commercianti.

Noi vogliamo trasparenza, semplificazione e con questi aspetti cercare di avere abbassamento dei cunei fiscali e contributivi. Diminuzione conseguente del costo di gestione e del costo del lavoro per tutti, non per pochi… nessuno vuole o può pagare per non essere perseguito…

Chi accetterebbe una proposta di regime transitorio? Accetterebbe solo colui che troverà una convenienza fiscale, cosicché pagherebbe meno del dovuto. Mentre le imprese che non potranno accettare per la sproporzione della proposta, verranno martoriate e vessate con controlli a tutto campo, che di fatto non appureranno nulla tranne maggiori costi per le imprese soggette ad accertamento e maggiori costi per l’ente accertatore.

Sostanzialmente tanto “casino” per creare tensioni e riscuotere di meno.

E questo basterebbe per certificare l’assurdità dell’idea.

Ma non basta! La parola forfettario cosa farebbe scaturire oltre confine?

Dopo aver fatto passi in avanti nell’armonizzarci con gli altri Paesi… la parola forfettario quale reazione farebbe scaturire nelle relazioni internazionali?

Forse qualcuno non ricorda per carenza di memoria o per gioventù, le problematiche che le imprese sane hanno subito in virtù dell’essere in Black List!

E le nostre imprese, la nostra economia ed il nostro Paese, non se lo possono certo permettere.

 

UNAS

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