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Speciale cultura: Pietro Rossi, il “rustico” poeta

da Redazione

Il cantastorie della Repubblica di San Marino, nato nel 1804, portò nelle stalle le sue liriche giocose. Si esprimeva in dialetto e “stampava” le sue produzioni per capire se potevano piacere al pubblico.

Pietro Rossi 2

 

di Alessandro Carli

 

Oggi il dialetto sammarinese è affidato alla caparbietà filologica di Francesco “Checco” Guidi, alfiere poderoso del vernacolare della Repubblica. Siamo quasi certi che Guidi sia a conoscenza di un suo “lontano” parente, un cittadino che quasi 200 anni fa ha donato molte attenzioni e altrettanti studi al “parlato locale”: Pietro Rossi. La sua storia, preziosa e interessante, è custodita all’interno della Biblioteca di Stato ed è stata “recuperata” da Giuseppe Macina che nel libro “Saggi” lo definisce “un cantastorie”. Nato nel 1804 in località La Casetta, alle pendici del Titano, girovaga “da un luogo all’altro, di stalla in stalla, nelle lunghe serate d’inverno, da piazza a piazza, durante le fiere o le feste di paese, per declamare e soprattutto per vedere le sue canzonette”. Fu un autore piuttosto prolifico, e compose sia in dialetto che in italiano: pubblicò a Pesaro, Rimini, Urbania e Bertinoro. Stampava dapprima i suoi scritti uno a uno in fogli volanti poi, accertatosi del favore del pubblico, lo faceva ristampare in raccolta per venderli.

La sintesi più precisa è racchiusa nella “Prefazione alle cose bernesche”, composta nel mese di gennaio del 1854 in italiano.

“Vorrei stampare alcune bagatelle / farò molti per queste mormorare / chi diranno che sono ciampanelle / chi diran scartafacci d’abbruciare / chi dice va stampato il tuo libretto / chi diran sì da farsi un fazzoletto. / Che fazzoletto? se ne fan cinquanta / ch’ogni bajocco allor cinque n’avete:

poi udirete un asinel che canta. / La vita fratello ancor vedrete / quando che tutto avete ben udito / pulite il naso, e non sporcate il dito. / Sarà quel che sarà, ecco si stampa. / Diranno quel che dir ognuno vorrà. / Se v’è gli errori, chi cammina inciampa, / almen vi troveran la verità / sebben la verità in questa stagione / sta sempre ritirata in un cantone. / Orsù si può stampar sior Stampatore? / “Se tu hai quattrini”. Ma non fa a credenza? / “A credenza! Va via fammi il favore. / “Non t’ascolto nemmeno abbi pazienza, / senza denar quest’an non stamperai. / Lascia veder un po’ che diamin c’hai?”. / Ci ho qui la vita colla lanterna / c’è la stoppa che val più della seta, / la mula, e il paradiso di Paderna, / la Cerulla che vale una moneta”.

Ma è forse in dialetto che Rossi esprime la sua piena forza, come si può capire leggendo “La bacilata”.

“E cos’el sta serinada/ ed dis om chvà per la strada! / L’arspond un ent poc da lunten / L’è i giuvnott da Mulazzen. / Mo che diemni hai mei fat / che per gues chi sia tuto mat? / Pri du giunvi dsentent’an / i fa tut che gren malan / Ja tolt moi dfùr stagion / Com dicembre i mattalon”.

Antica usanza, quella di portarsi con pentole sotto la finestra di chi si sposava in tarda età e, a maggior ragione, del vecchio che sposava una giovane.

Era, appunto, la “Bacilata”.

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