Il taglio dato allo spettacolo è, de facto, una lettura adatta al palcoscenico: spazio quindi alla comicità e ai toni alti.
di Alessandro Carli
RAVENNA – Non vi può essere la certezza assoluta, ma con ogni probabilità la scelta di “meccanizzare” il cavallo “Ronzinante” (mosso con abilità eccezionale da Nicolò Diana: i movimenti del muso sono realisticamente perfetti) avrebbe incontrato i favori di Alberto Savinio (soprattutto quella de “La famiglia Mastinu”).
Per il resto il “Don Chisciotte” costruito attorno allo spessore attoriale di Alessio Boni (nella parte del protagonista) e Serra Yilmaz (ottimo Sancho Panza) e passato al Teatro Alighieri di Ravenna sino al 14 aprile conferma l’impatto e l’influenza che ha avuto l’opera di Miguel De Cervantes nell’arte: da Salvador Dalì a Francesco Guccini (eccezionale la sua canzone), la follia dell’eroe cavalleresco è un’ampolla di creta da plasmare, manipolare, destrutturare.
Scenografia abbastanza minimalista – pochi oggetti in scena, totemistici e misurati – e mai invadente: al centro della mise en scene, giustamente, deve stare il madness ispanico: le sue vicende, il suo errare, la ricerca di Dulcinea, amore visto una volta sola in giovane età e (s)oggetto da rivivere.
Il taglio dato allo spettacolo è, de facto, una lettura adatta al palcoscenico: spazio quindi alla comicità – micidiali i duetti tra Boni e Yilmaz (foto di Lucia De Luise) – e ai toni alti: Don Chisciotte è soprattutto voce arrabbiata, movimenti sincopati. È mimica accentuata, energia, necessità di raccontare una storia che ha – e forse era questa l’intenzione di Miguel De Cervantes – dell’inverosimile.
A questo “Don Chisciotte” – diviso in due atti – non mancano i riferimenti storici e artistici: la Commedia dell’Arte, la commedia napoletana, Henri Cartier Bresson (l’incontro tra il cavaliere e l’amata ricorda alcune fotografia del reportage fatto dal maestro francese in Messico all’inizio degli anni Trenta) e la grande tradizione delle maschere: maschere sono – enfatizzate ma propedeutiche allo spettacolo – tutti i personaggi, con un voltaggio spinto verso l’eccesso per favorire la vis comica che si legge tra le pagine del libro.
I quadri di “Don Chisciotte” che scambia i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti e le greggi di pecore con eserciti arabi portano il testo (e la sua versione drammatirgica) alla stretta attualità: ieri come oggi si cercano nemici “inventati” da combattere e si tende a ingigantire ogni accadimento per avere una storia da raccontare. In fondo è questa la grandezza dell’arte.