Home FixingFixing Non basta che ci sia un margine. Occorre sapere dove si crea

Non basta che ci sia un margine. Occorre sapere dove si crea

da Redazione

Simone Selva: “L’azienda deve identificare i propri vantaggi competitivi, e monitorarli”. “E’ necessario verificare l’attualità dei modelli di analisi rispetto ai driver del valore aziendale”.

Simone Selva

 

di Simone Selva*

 

Quanto margine, ma soprattutto quale margine?

Quante volte ci siamo chiesti: la mia azienda quanto e dove guadagna? La domanda non è banale perché, a meno che l’impresa non venda un solo prodotto, in un solo mercato, tramite un solo canale e ad un solo cliente, comprendiamo benissimo che la risposta non può essere data dall’utile complessivo aziendale di fine anno.

Certo quel numero ci dice quanto margine mediamente realizza l’impresa nei confronti del mercato, ma tutti sappiamo che quel numero finale, positivo o negativo, è dato dalla somma algebrica di infinite micro operazioni che hanno assetti diversi e pertanto producono risultati diversi.

In ogni azienda se ci sono utili sicuramente l’impatto delle operazioni redditizie è stato superiore a quello delle operazioni non redditizie. Eppure quanto sarebbe redditizia l’azienda se avesse un soddisfacente grado di controllo su tutte le operazioni aziendali riuscendo a monitorarne la marginalità?

 

LA CHIAVE DI LETTURA DELLA MARGINALITÀ AZIENDALE


Domanda: ci siamo mai interrogati su che cosa fa sì che la nostra azienda realizzi degli utili?

L’azienda genera utile quando i ricavi sono superiori ai costi, eppure spesso non ci si interroga sulle determinanti e sulla sostenibilità di questa efficienza. Per realizzare un utile è necessario che ci sia qualcuno, il cliente, che sia disposto ad acquistare l’oggetto della mia attività ad un prezzo superiore al costo che l’impresa sostiene per realizzarlo. Benissimo, ma quanto quel cliente sia disposto a spendere, da cosa dipende?

Quando compriamo un cellulare, non stiamo comprando un pezzo di plastica, bensì un complesso sistema di software (quindi tecnologia) dietro al quale sono presenti ingenti costi di ricerca e sviluppo per pagare gli sviluppatori.

Quante imprese “scaricano” il costo dei progetti di ricerca e sviluppo sui loro prodotti?

Quando compriamo un’autovettura (ammesso e non concesso che la compriamo) non acquistiamo un pezzo di ferro ma una mobilità, fornita su un computer a quattro ruote, possibilmente ben assicurato e con un finanziamento sostenibile.

Non è un caso che nel settore delle concessionarie d’auto si stia affermando sempre più la figura del responsabile F&I (Finance & Insurance) che rappresenta una divisione a parte dell’azienda e la cui attività a diventerà sempre più decisiva per la redditività aziendale. Quante imprese sono passate in questi anni dal vendere beni a, di fatto, vendere servizi a determinati cluster di clientela? Quanto è forte il controllo sulla marginalità di questi servizi?

La rivoluzione digitale comporta, in sempre più settori, l’esigenza di comprendere, attirare e rispondere rapidamente al cliente.

Quanto investono le aziende nel posizionamento sul web, nella gestione e manutenzione del CRM, o nello sviluppo di un call center di qualità?

È evidente che monitorare i driver della marginalità aziendale, se si considerano tutte le voci di spesa che caratterizzano i nuovi modelli di business, sarà più difficile se continueremo ad adottare i tradizionali modelli di analisi.

 

SERVE UN’ANALISI DEL MODELLO DI BUSINESS

 

Per identificare i driver della marginalità aziendale è necessario che l’impresa identifichi innanzitutto il suo principale vantaggio competitivo. Chi dirige l’azienda dovrebbe porsi una semplice domanda: perché il cliente acquista da me? O meglio ancora: cosa il cliente vuole acquistare quando compra i nostri prodotti/servizi?

Rimaniamo nel settore automotive. Chi acquista un’autovettura di lusso sta acquistando uno status symbol, uno stile di vita, un biglietto da visita. Chi acquista una utilitaria sta acquistando funzionalità, risparmio e probabilmente affidabilità. Senza entrare eccessivamente in tematiche che afferiscono al marketing, perché ognuno deve fare il proprio mestiere, è evidente che gli investimenti nello sviluppo del Brand legato alla macchina di lusso sono profondamente diversi dagli investimenti effettuati per promuovere una utilitaria. D’altro canto, il controllo del costo di produzione diventa evidentemente più critico nella produzione di un’autovettura economica che nella produzione di un’autovettura di lusso, per la quale il prezzo di vendita sicuramente coprirà il costo di produzione, ma deve anche essere in grado di remunerare gli investimenti in marketing.

L’esempio, semplicistico e limitativo, banalmente perché c’è un tema di investimento in tecnologia per entrambi i prodotti, vuole far riflettere sul fatto che a seconda di come viene definita la proposta di valore, l’impresa svilupperà un determinato assetto organizzativo, determinati processi produttivi e operativi che configureranno il modello di business. Non è possibile indagare efficacemente le dinamiche della marginalità aziendale senza comprendere a pieno le fonti che permettono all’azienda di generare valore.

Si citano, in questa sede, in modo assolutamente sintetico, 3 sostanziali fonti di vantaggio competitivo, all’interno delle quali, ovviamente, le specifiche possono essere infinite. La prima è l’unicità del prodotto/servizio: il cliente compra da noi perché il nostro prodotto/servizio è unico sul mercato. La seconda è la flessibilità: il cliente compra dalla nostra impresa per la nostra capacità di rispondere in tempi rapidi, perché disponiamo di un’ampiezza di gamma tale da poterlo soddisfare o perché siamo accessibili da diversi canali logistici e commerciali (aziende multicanale). Infine, la terza è la personalizzazione: il cliente acquista dalla nostra impresa perché ha esigenze specifiche e pertanto ha bisogno di un prodotto/servizio fatto su misura.

A seconda del vantaggio competitivo che l’azienda sviluppa si configureranno diversi assetti operativi e processi aziendali, la cui identificazione e il cui monitoraggio si rivelano essenziali per un corretto ed efficace modello di analisi della profittabilità.

A questo punto, la domanda che l’imprenditore si dovrebbe porre in conseguenza a questo ragionamento è la seguente: i nostri sistemi di controllo sono adeguati a rispondere a queste esigenze?

 

*Simone Selva è Dottore Commercialista ed Esperto contabile iscritto all’Albo di Rimini, nonché consulente d’impresa per l’Area Amministrazione, Finanza d’Azienda e Controllo di Gestione. E’ attualmente impegnato come docente nei corsi di formazione ANIS, per la quale ha concorso all’ideazione del proprio Osservatorio economico, di cui cura l’aggiornamento e l’implementazione.

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