Home categorieCultura Visto per voi al teatro “Petrella”: “Genealogia” di Luna Cenere

Visto per voi al teatro “Petrella”: “Genealogia” di Luna Cenere

da Redazione

Il finale “aperto” di questo “primo studio” è la firma poetica di un lavoro verticale nelle potenzialità del movimento, nella bellezza che partorisce dagli incontri.

LunaCenere.Ph.NinoAveni-2

 

di Alessandro Carli

 

LONGIANO – L’effetto “Pablo Neruda” (prende spunto da un suo frammento lirico, quel celebre “Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi” che è anche il titolo che racchiude una minirassegna di spettacoli “romagnoli”) sulla coreografa di origine napoletana Luna Cenere ha un nome da fissare con calma e precisione sull’agenda “privata” di chi ama il teatro di spessore e poesia: “Genealogia – Prima tappa di ricerca Le radici del corpo” (ph: Nino Aveni).

Teatro “Petrella” pressoché gremito, sabato 16 marzo alle 18.30 – orario desueto ma che non ha impedito al pubblico di entrare nella “bomboniera” dell’entroterra – per la “prova aperta” di un lavoro che, per quanto visto, ha già la dignità di uno spettacolo “di movimento” (e non di danza) compiuto e maturo.

I teorici punti di contatto – a questo punto solamente fonetici, semplici ed errate suggestioni, nulla di più; in una parola, coincidenze – con la “Genesi” della Societas Raffaello Sanzio, straordinario capolavoro corale della compagnia cesenate terminano nel momento esatto in cui il buio scende il sala: al centro della matericizzazione della poetica mentale di Luna Cenere c’è sicuramente un approccio (iniziale, come la punta di un compasso: va appoggiata per disegnare un cerchio) scientifico che però di traduce, sul palco, in gestualità corale.

Così i nudi – che non sono erotismo né pornografia ma semplicemente nudi e quindi arte (nei palchetti del “Petrella”, tra il pubblico, anche alcuni bambini, assolutamente non infastiditi o turbati) – dei corpi dei danzatori diventano “strumento” di presenza, tavole su cui la vita e i suoi gesti diventano “azione” che scorre.

Si ritrova, in questo quadro, la pigmentazione del pittore Hieronymus Bosch, ripulita però di ogni analisi psicoanalitica: alla coreografa sembra – giustamente – non interessare la lettura “novecentesca” della moltitudine degli uomini ma solamente il processo di aggregazione, il punctum della discendenza di famiglie e di stirpi, di legami che “accadono” tra le persone. Così la ricerca di calore – meravigliosi i corpi che si cercano e si uniscono per diventano un tentativo di “unicità” – e la necessità di ricreare nuclei sociali (il “trenino” nella seconda “chiusa”, che riporta ad alcuni “passaggi” del “Bolero” di Maurice Ravel, quelli del movimento delle braccia che ricordano il “treno”) si alternano e appaiono agli occhi attraverso una misurata ed efficace architettura delle luci: l’oscillazione del particolare al corale (e viceversa) diventa così “scenografia” ma soprattutto dinamicità.

Il finale “aperto” di questo “primo studio” – apparentemente l’unico neo dello spettacolo ma nei fatti risposta non cernierata al processo in fieri della “Genesi” umana – che arriva dopo 45 minuti di “apnea” emotiva è la firma poetica di un lavoro verticale nelle potenzialità del movimento, nella bellezza che partorisce dagli incontri, quando le parole si congelano e il corpo, privo di “maschere”, parla finalmente con cristallina sincerità.

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