Home categorieCultura Visto per voi a teatro: “Vedo ancora una piccola porta – Secondo Studio”

Visto per voi a teatro: “Vedo ancora una piccola porta – Secondo Studio”

da Redazione

Le parole che seguono una all’altra come onde sulla-contro-dentro la spiaggia, sottovoce, sempre sottovoce, senza rumore, in tutte le forme.

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di Teresio Troll

 

SAVIGNANO – Una ragione validissima per scrivere queste quattro righe sta nella domanda: “quanti teatri (e dunque quante stagioni teatrali o pseudoteatrali) ci sono tra Ravenna, Forlì e Pesaro?” I più vicini, i primi che mi vengono in mente, la Regina di Cattolica, il Bonci, il Teatro degli Atti, il Rossini, l’Alighieri, il Galli fino ai sopravviventi Massari, Corte Coriano, Cesenatico Sala, etc. Non sono tanti, sono troppi per non aver problemi di sopravvivenza. Certo, meglio troppi che pochi, ben vengano anche perché se ti perdi un appuntamento a Rimini (dove molte poltrone servono per tenerci la pelliccia) puoi ritrovartelo a Fano. Allora puoi porti una seconda domanda: come può sostenersi e motivare la probabilità di presenze un teatro vecchio ( ma spero lo si recuperi nel suo ‘vecchio’ stile e non lo si deformi ) e collocato in una realtà, Savignano sul Rubicone, dormiente rispetto alla vicina Santarcangelo?

Giovedì 7 marzo abbiamo avuto un esempio di come sia importante una direzione che ‘sceglie’ e che mi auguro non resti caso isolato. Il Teatro Valdoca presenta “Vedo ancora una piccola porta – Secondo Studio” di e con Mariangela Gualtieri, nome noto della poesia italiana. La sala è piena e sono venuti in buona parte proprio per lei.

Lei, in alto, vestita di bianco, eretta davanti al microfono come una cariatide greca. Sotto di lei, davanti agli spartiti, un violoncello (Stefano Aiolli) che attacca. Manca solo la luna. Il volume dei microfoni è un po’ troppo alto ma comprendo la necessità: io sono in prima fila e per coprire bene la platea la scelta è giusta. ‘Sermone ai cuccioli della mia specie’ apre la voce di Mariangela; voce determinata e ben modulata, lo sarà fino alla fine, con una intenzione che è ‘teatro’ e che quasi diminuisce potere allo scritto. Ma le parole, ah, più vanno avanti e più si fanno forti, fino a farti preferire all’invasivo strumento il cicalare di voce chiacchieranti o il sottofondo di una radio accesa.

“Eccolo il mondo bussare, sghembo… c’è splendore in ogni cosa… non avere paura, faccia bella!”

Devo riconoscere la mia sorpresa per questa autrice che conoscevo appena, per alcune cose (Sii dolce con me. Sii gentile…) e che non avevo mai visto sul palco. Mi ricorda ‘la sottile linea rossa’ di Terrence Malick. Le parole che seguono una all’altra come onde sulla-contro-dentro la spiaggia, sottovoce, sempre sottovoce, senza rumore, in tutte le forme. Unici rumori il tossire continuo di persone che dovrebbero stare a casa (non a curarsi perché, in realtà, a casa la tosse non ce l’hanno, se la fanno venire qui…) e la chiusura del violoncello, brutta non perché il musicista non sia bravo, anzi, ma proprio perché ‘chiusura’ cercata per teatrare e per chiudere, sorda, quello che le parole avevano tenuto aperto. Come una piccola grande porta.

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