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La Repubblica di San Marino ai tempi di Giuseppe Garibaldi

da Redazione

Alvaro Casali, nell’opera “Antologia di scritti”, racconta l’arrivo del Nizzardo sul Monte Titano ma anche il ruolo della “piazzetta”, luogo di ritrovo di “emigrati” anche illustri, come il colonnello romano Lopez.

Casali Alvaro

 

di Alessandro Carli

 

Sicuramente è notissima l’attività politica e lavorativa di Alvaro Casali (1896 – 1978) medico, socialista, esule politico nel periodo fascista, consigliere e Capitano Reggente ma anche Segretario del Partito Socialista Sammarinese per dieci anni e fondatore del Partito Socialista Democratico Indipendente.

Il suo nome inoltre, dal 2011, appare nella piazzetta antistante all’ex Garage Masi.

Non tutti conoscono invece la sua fervida attività di scrittore e di storico della Repubblica di San Marino. Tra i volumi conservati nella Biblioteca di Stato ce n’è uno, “Antologia di scritti”, che racconta la figura di Giuseppe Garibaldi sul Titano. E che parte da una città romagnola che si trova a Nord. E che è scritta in prima persona da Alessandro Guiccioli di Ravenna, Patrizio della Repubblica di San Marino.

Siamo alla metà del 1800 e quella che fu la Capitale dell’Impero Romano Bizantino (402-476 d. C.) era minacciata dal “Governo papale”, non particolarmente amato dai cittadini. Giuccioli, assieme ad altre persone, decise di ritirarsi a Monteleone. Il 4 luglio del 1849 venne a sapere che “Roma, dopo una strenue difesa, era caduta nelle mani dei francesi che vi avevano ristabilito il governo del Papa. Ormai tutto era finito”.

Poco più di un mese più tardi, il 10 luglio, arriva al padre di Alessandro Guiccioli “un biglietto del Conte Locatelli Alberto, il quale lo avvertiva essere stato spiccato un mandato di arresto contro tutti i Membri della Costituente Romana e lo consigliava di mettersi in salvo”. Il padre del Patrizio della Repubblica di San Marino seguì il consiglio del Locatelli e “travestito alla contadina, partì a cavallo insieme a una guida fedele e attraverso i monti, per viottoli impervi, raggiunse San Marino”.

Alessandro Guiccioli, un giorno e mezzo dopo il genitore, fece altrettanto, seguito dalla madre. “Viaggiammo con buoi fino ai piedi del Monte (passarono, racconta Alessandro, per Cesena e Rimini, dove dormirono). Mio padre ci venne incontro a mezza strada che divide il Borgo che è ai piedi della montagna, dalla città che sta sulla cima del Titano”. Alvaro Casali svela a questo punto che il padre “aveva preso in affitto una casa appartenente a uno dei maggiorenti, il Belluzzi”. La dimora “era situata sopra una piccola piazza scoscesa e di forma triangolare, che piuttosto poteva dirsi un crocicchio; a ciascuno dei tre lati corrispondeva una viuzza. Quella a destra di casa Belluzzi scendeva alla porta di S. Francesco verso il Borgo, quella a sinistra conduceva ad alcune casupole e a una chiesuola; quella di fronte saliva alla Pianella, piazzetta sulla quale si trova il Palazzo del Governo”. Dalla casa, si legge, “si vedeva una parte del così detto Stradone, luogo di passeggio durante la buona stagione e, al bisogno, anche di gioco del pallone”.

Qui l’autore si sofferma sulla società del periodo. “San Marino era allora pieno di emigrati rifugiatosi colà come augelli sbattuti dalla bufera; molti erano per noi antiche conoscenze: fra i romani un Lopez colonnello di artiglieria, persona molto educata, di bei modi e di sentimenti elevati. Un Conte Bandini, pure romano, e Luigi Ripa di Verucchio, amico di mio padre fin dalla giovinezza”.

La piazzetta era un’agorà: un luogo “di ritrovo degli emigrati; quando il tempo era cattivo si rifugiavano nei caffè dove esisteva un biliardo, ma non già di un sistema di illuminazione permanente, per cui quando le giornate si accorciavano si spinse il lusso fino ad accendere un paio di candele di sego”.

A questo punto compare Garibaldi, “Sdegnoso di arrendersi, prima che i Francesi entrassero a Roma, era uscito dalla Città alla testa di circa quattromila uomini e si era gettato in Toscana, sperando di levare a rumore quelle popolazioni”. Garibaldi non vi riuscì e quindi nella notte tra il 30 e il 31 luglio “arrivò a San Marino con i suoi, ridotti ormai a poco più di duemila: tra questi erano i due Ciceruacchio padre e figlio, il frate Ugo Bassi”. Al mattino del 31 luglio del 1849 Alessandro Guiccioli fu svegliato dalla notizia dell’arrivo di Garibaldi. “Egli era a cavallo, insieme all’Anita e a parecchi altri, e indossava la camicia rossa, splendente come una falce sotto gli ardenti raggi del sole. Erano con lui le Autorità Sammarinesi che discutevano sul modo di uscire il meno male possibile da una situazione pericolosa che metteva a grande rischio la sicurezza della minuscola Repubblica”.

Le Autorità del Titano “si fecero intermediarie fra Garibaldi e gli Austriaci che avevano circondato il territorio da ogni lato”.

A San Marino, il 1 di agosto del 1849, “gli avanzi delle schiere garibaldine erano accampate un po’ dappertutto”. Vi erano tra di loro gente di origine e specie diverse, “perfino parecchi che avevano seguito Garibaldi fin da Montevideo”. Per procurarsi qualche soldi da mettersi in tasca, “vendevano cavalli e uniformi a vilissimo prezzo”. Un cavallo “due o tre scudi, due o tre paioli un mantello o un fucile”.

L’autore poi torna alla famiglia Guiccioli, che si fermò sul Monte sino al 1850. “L’inverno fu freddissimo: nevi e ghiacci. Per non sdrucciolare noi mettiamo scafarotti di panno, e papà rampini ai piedi. Di notte occorre portare un lanternino perché non vi è illuminazione. Papà compra una casa a mezza via fra il Borgo e la Città, ma non ci si va ad abitare” perché sull’uomo pende un mandato d’arresto. Così a maggio del 1850 la famiglia Guiccoli lascia San Marino e “con una barca chioggiotta” arrivano a Venezia.

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