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Anita Garibaldi, ovvero l’eroismo più profondo che nasce dall’amore

da Redazione

Ha affascinato anche Indro Montanelli che nel 1966 le dedicò un libro.

Anita Garibaldi

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

Anita Garibaldi. Storia e leggenda si intrecciano intorno a questo nome, senza farci capire dove la verità storica ceda il passo al mito.

Secondo Indro Montanelli – che a Garibaldi dedicò un libro, nel 1966 – non fu una vera guerriera ma semplicemente una donna talmente innamorata del marito da abbracciarne gli ideali e per questi combattere. Al suo fianco.

Spaventata non dalle granate ma dalla possibilità di perdere il suo Giuseppe.

In “Anita. Storia e mito di Anita Garibaldi” (Einaudi, 2017), la storica Silvia Cavicchioli ha cercato la sua vita, il suo pensiero, al di là del romanzo e dell’epica, sfatando alcune dicerie come la vicenda che la voleva in fuga su un cavallo con un bambino in braccio.

Eppure, per quanto il suo nome sia indissolubilmente legato a quello del marito, Anita ha conquistato una sua unicità, un suo ruolo – esclusivo e prezioso – nell’immaginario collettivo.

Non è semplicemente la moglie di Giuseppe Garibaldi. È il coraggio, la determinazione, e quella follia che rende possibile l’inammissibile, in un’epoca in cui l’audacia era lecita solo agli uomini.

Anita è il simbolo di un eroismo che nasce non dal desiderio di gloria o immortalità, ma dall’amore. Per il marito e per la libertà. La sua forza, la sua risolutezza hanno trovato in Giuseppe un complice, un alleato. Il loro incontro è stato un fiammifero che ha messo in luce le doti fuori dall’ordinario di questa donna. Doti che lei già possedeva e che sono rimaste impresse negli annali della storia, nonostante lei fosse analfabeta e di tutto quello che ha vissuto e pensato non abbia potuto lasciare una sola parola scritta.

Anita ha preso in mano le carte che aveva a disposizione, sapendo che non poteva cambiarle, ma poteva decidere come giocarsele. E quel destino, che per tanti è una gabbia in cui tentare di sopravvivere, per lei è stata la possibilità di entrare nella storia e addirittura di valicarla, diventando qualcosa di più di un’eroina. Entrando nella leggenda. Perché non importa che non sia scappata spavaldamente da una finestra, ma solo da una parte secondaria. E non importa nemmeno che non abbia galoppato con suo figlio neonato stretto addosso, sfuggendo ai nemici, in cerca del marito. Non è importante che sia accaduto veramente, perché sarebbe stata capace di farlo e questo è sufficiente per ammirarla. E per ispirarsi a lei. Perché a tutti è capitato di essere sotto assedio, di dover decidere il proprio destino senza poter consultare nessuno.

Ed è capitato di forzare mille finestre, pur di mettersi in salvo da situazioni rischiose.

E di scappare con stretto al petto ciò che di più prezioso si possiede – che sia un bambino, una lettera o solo ciò che rimane di noi stessi – e correre verso l’unica salvezza conosciuta, che sia un amico, una casa, o un amore di nome Garibaldi.

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