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I “figli” di Leonardo da Vinci, colpi di genio nella letteratura

da Redazione

Bruno Munari e “Cappuccetto bianco”, epifania candida dello sguardo. A Quinnipak sono tutti creativi: il musicista Pekisch, il vetraio Anderson.

Munari Bruno

 

di Alessandro Carli

 

Il genio e la lampada. Il genio nella lampada, ma anche altrove. Il genio è sempre nella testa: da lì invia i suoi input, li trasmette alle mani e agli occhi, e poi diventano arte.

Leonardo da Vinci ha avuto molti figli, più o meno legittimi, che nelle pagine dei libri hanno avuto vita propria. Certo, anche lui, il padre dei padri, è stato trattato nella letteratura. A San Marino, in “Adelinda” di Cesare Monteverde, difatti appare un personaggio, Leonardo appunto, definito dall’autore inizialmente “venerando” ma che con lo sfogliare delle pagine diventa più definito: viene descritto come “il celebre pittore” ma anche “architetto”.

È invece quasi tutti nel titolo del libro il ricordo del genio toscano: “Il codice da Vinci” di Dan Brown omaggia Leonardo ambientando il suo thriller al Louvre di Parigi, dove è custodita “La Gioconda” e dove il curatore del Museo, Jaques Sauniére, viene ammazzato da un monaco albino dell’Opus Dei.

Non sono paragonabili alla grandezza di Da Vinci, nemmeno se si riuniscono e sommano i loro QI i personaggi geniali che popolano la città di Quinnipak di “Castelli di rabbia” di Alessandro Baricco. Però qualcosa che li avvicina a Leonardo ce l’hanno.

Pekisch per esempio, che aveva inventato l’umanofono, una specie di organo, ma al posto delle canne c’erano le persone e personaggio suonava la propria nota, quella personale e intima. La propria.

Hector Horeau, per esempio, portatore di un incanto, la costruzione del sogno, il Crystal Palace. “È la magia del vetro, proteggere senza imprigionare, stare in un posto e poter veder ovunque, avere un tetto e vedere il cielo”.

Il signor Anderson, per esempio. Le premiate “Vetrerie Rail” avevano messo a punto un nuovo sistema di lavorazione capace di produrre lastre di vetro sottilissime (3 mm) della grandezza di un metro quadrato abbondante. Il sistema era stato brevettato con il nome di “Brevetto Anderson delle Vetrerie Rail”.

Un genio era anche Bruno Munari (nella foto), il leonardesco e perfettissimo Bruno Munari che ha dominato la scena milanese degli anni Cinquanta e Sessanta, il periodo in cui è nata la figura dell’artista operatore-visivo che diventerà consulente aziendale e che contribuirà attivamente alla rinascita industriale italiana del dopoguerra. La casa editrice Corraini ha dato alle stampe, due manciate di anni fa o forse più, le variazioni di tonalità della bimba ideate da Munari, rosso, verde, giallo, blu e bianco. In “Cappuccetto Bianco” le pagine assolutamente bianche. Non si vede nulla, ma si sa che c’è una bambina tutta vestita di bianco, sperduta nella neve. Si sa che c’è una nonna, una mamma, un lupo. Si sa che c’è una panchina di pietra nel piccolo giardino coperto dalla neve, ma non si vede niente, non si vede la cuccia del cane, non si vedono le aiuole non si vede niente, proprio niente, tutto è coperto dalla neve. “Mai vista tanta neve”.

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