Home categorieCultura Visto per voi a teatro: il “Moby dick” di Melville riletto da Roberto Mercadini

Visto per voi a teatro: il “Moby dick” di Melville riletto da Roberto Mercadini

da Redazione

La modalità linguistica e poetica scelta dall’artista cesenate scardina il tempo per diventare una nuova, luminosa chiave di accesso all’opera.

Mercadini Roberto Moby dick

 

di Alessandro Carli

 

VERUCCHIO – Comincia tutto con un errore. Come capita di frequente nella vita. Non di Roberto Mercadini, né tantomeno di Herman Melville: semplicemente del “Moby dick”, il centro della letteratura, il canto del mare, il monologo che l’istrionico attore di Cesena ha portato al teatro “Eugenio Pazzini” di Verucchio il 2 febbraio. Un’opera già attraversata su scala nazionale dall’immenso Giorgio Albertazzi ma anche terreno di prova di talentuose voci locali (una su tutte, quella di Angelo Trezza da Santarcangelo), un testo – spiega lo stesso Mercadini nell’ouverture – “zeppo di errori, anzi è esso stesso un errore”. Ma è chiaro sin da subito che si tratta di una boutade teatrale e letteraria, nonostante ci sia, di fondo, anche del vero: il “Moby dick” è stato perfetto sino al 1982, poi è diventato perfettibile (nell’anno dei mondiali di Spagna Francesco De Gregori è uscito con il disco “Titanic” che contiene la descrizione più precisa di ogni imbarcazione che va per mare: “La nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia; molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia”).

Il “Moby dick”, alcune di queste descrizioni, le contiene per germinazione spontanea: la riduzione sapiente di Mercadini è un fulmine (o più verosimilmente una “guerra-lampo”, un’ora esatta è la durata dello spettacolo), una “miccia” che accende i registri più comici del testo drammaturgico (sembra un ossimoro ma in realtà non lo è: Roberto fa “girare” la corda dell’ilarità rendendola piacevolmente stridente e dandogli autenticità attraverso il suo timbro di voce, un po’ Giorgio Gaber e un po’ Francesco Guccini) ma che non s-corda la forza del dramma. Cercare una balena nel mare è un’impresa titanica: come si fa a trovarla? Come si fa a trovare un capidoglio che ha un nome? E soprattutto, si può attualizzare un testo che ha sulla schiena alghe e molluschi che se ne stanno attaccati da oltre un secolo? La modalità linguistica e poetica scelta da Mercadini scardina il tempo per diventare una chiave di accesso all’opera. La tristezza viene spazzata via da un colpo d’onda, da un morso del capidoglio: così come si è portato via una gamba di Achab, lancia uno spruzzo in aria e si toglie la polvere del tempo.

Ma è l’essenza dello spermaceti, la sostanza estratta dalla testa delle balene e che profuma di violetta, a portare il testo e il numeroso pubblico verso una forma di teatro sensoriale: non si avverte nell’aria ma il tono di voce di Mercadini, la sua forza evocativa ingentiliscono la brutale solitudine del terribile Leviatano, incubo e croce di chi va per mare. Il grande monologo della balena sulle cose piccole della vita – Achab che prega, Achab che convince i suoi marinai a lanciarsi nell’assurda sfida contro la natura, Achab che sta in silenzio – solca i mari dell’esistenza. E lascia sulla spiaggia solamente qualche conchiglia, una bottiglia che contiene una lettera, milioni di granelli di sabbia. E una recensione. Un’altra.

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