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Rifiuti: la Repubblica di San Marino resta ancora “cliente” dell’Emilia Romagna

da Redazione

Via libera all’accordo per il 2019, ma la bassa percentuale di raccolta differenziata (40-45%) fa arrabbiare i territori circostanti. Il caso riapre l’annoso tema dell’autonomia energetica.

tabella consumi collettivi

 

di Daniele Bartolucci

 

San Marino avrà a disposizione 62mila tonnellate di rifiuti, il 13% in più rispetto al 2018, da portare in Emilia Romagna per lo smaltimento. L’accordo approvato dalla Regione nei giorni scorsi non è che l’ultimo in ordine di tempo per quanto riguarda le cosiddette “utility”, che San Marino gestisce attraverso l’AASS, ma che in sostanza acquista quasi per intero dall’esterno, in particolare gli energetici.

 

RIDURRE LA DIPENDENZA: CI SONO TANTISSIMI MODI


Purtroppo, poco si è fatto per ridurre questa “dipendenza” dall’esterno, visto e considerato che acquistare da fuori ha sempre un costo superiore. Questo vale per la gestione dei servizi stessi (vedi il ciclo dei rifiuti, che l’AASS stima chiuderà in perdita per 2,6 milioni di euro, o quello dell’acquedotto, che perderà di 1,2 milioni di euro) come per l’acquisto dei servizi e dei beni dall’esterno. Beni e servizi che potrebbero essere creati all’interno, se si volesse. Senza pensare a inceneritori e discariche, un sito di stoccaggio efficiente e una raccolta differenziata spinta (ad oggi vale circa il 44%) potrebbero migliorare il sistema; un depuratore potrebbe allo stesso modo mitigare i costi in uscita delle acque reflue (altro servizio in perdita per l’AASS, di oltre 1,2 milione di euro); un impianto di generazione elettrica (attualmente ci sono solo il fotovoltaico, che va fortissimo ma non basta a coprire i consumi, e un po’ di geotermico; nel PEN 3 viene bocciato l’eolico, ndr) potrebbe garantire tutto o in parte il fabbisogno energetico di San Marino. In questo caso non si parla di centrali mega come fu pensato solo due anni fa (il famoso “boilerone”), ma anche di piccoli e medi impianti di cogenerazione. Un passaggio che l’Italia e gli altri stati europei hanno già fatto, mentre a San Marino manca tutta la normativa per le industrie. Che invece sarebbero ben disposte a investirci.

Oppure l’acqua, bene preziosissimo che San Marino è costretta a comprare fuori confine e che ogni anno, o quasi, scarseggia all’arrivo dell’estate (vedi i provvedimenti straordinari per fronteggiare la siccità). Mandato in archivio il progetto del bacino imbrifero, altri progetti non se ne vedono all’orizzonte, nemmeno quelli degli impianti di micro captazione delle acque meteoriche di cui si parlava poco tempo fa.

Nemmeno di impianti di biogas si sente parlare (ma finalmente il PEN 3 lo ha “resuscitato”, vantandone le potenzialità), eppure quello del gas è uno dei temi più discussi da anni, anche perché San Marino impone alle imprese il “monopolio” di AASS e vieta l’accesso al mercato libero a tutte le aziende (solo quelle che consumano oltre 2mln di mc possono andarci, in pratica 2 sole aziende in tutta San Marino), mentre in Europa sono anni che è stato tutto liberalizzato.

 

L’ACCORDO CON L’EMILIA ROMAGNA E LE POLEMICHE


Al di là del fatto – ovvio, ma non così tanto visti i titoli di giornali dei giorni scorsi – che non è detto che San Marino utilizzi davvero tutte le 62mila tonnellate messe a disposizione dall’Emilia Romagna, il dato che si registra è soprattutto politico: è sempre più forte, infatti, la polemica verso San Marino, che continua a portare i suoi rifiuti in questa Regione (lo stesso varrebbe con le Marche, ndr). C’è chi accusa il Presidente Bornaccini per gli introiti che questo accordo genera (“pecunia non olet”, cit.) e chi, soprattutto i grillini, per accettare rifiuti da un Paese che fa davvero poca raccolta differenziata, mettendo di fatto in discussione anche le buone abitudini che i cittadini emiliano romagnoli hanno imparato nel tempo. Il confronto in questo caso è impari e impietoso: l’Emilia Romagna – anche grazie ad Hera, non può essere negato – è una delle Regioni più virtuose nel ciclo dei rifiuti, sia come struttura istituzionale (si pensi al solo fatto che qui già diversi Comuni applicano la Tariffa Puntuale e non più la TARI) , sia impiantistica (ci sono i siti di stoccaggio e i termovalorizzatori), sia di educazione civica. Un mix che ha portato la Regione a ridurre la produzione di rifiuti urbani fino a raggiungere livelli di eccellenza per la differenziata, che in alcuni Comuni supera l’80%. E San Marino? Come ricordano i detrattori – che non sono pochi – la differenziata si attesta attorno al 40%.

E il resto? Indifferenziata, di cui ben 13 mila tonnellate potrebbero finire nell’inceneritore di Raibano a Coriano, sul confine con Riccione: in questi territori la polemica con Bornaccini e indirettamente con San Marino, è fortissima. Ma anche nella valle dell’Uso, dove ha sede l’impianto di smaltimento di Sogliano, fioccano accuse. Ma il tema resta quello della cattiva gestione del ciclo dei rifiuti da parte di San Marino, che negli anni non ha fatto i dovuti investimenti e si trova ora a livelli incredibilmente bassi, ancora più evidenti se il confronto si fa con una delle Regioni all’avanguardia. Un ritardo che a Bologna ormai conoscono tutti, a iniziare da Andrea Bertani del M5S: “San Marino ha sempre dichiarato negli anni, a partire dal primo accordo con la nostra regione del 2011, di arrivare ad una raccolta differenziata pari al 50% entro il 2015 e del 70% entro il 2020. Obiettivo che però resta ancora un miraggio visto che oggi la quota di differenziata si attesta ancora attorno al 40%. Visto che lo scorso anno Bonaccini inondò i giornali, le tv e i social network di comunicati stampa su fantomatici rifiuti di Roma poi mai arrivati, adesso ci aspettiamo almeno qualche amichevole paternale agli amministratori di San Marino sull’incapacità di gestire e ridurre i propri rifiuti. Anche perché soltanto pochi mesi fa lo stesso Bonaccini si disse stufo di andare in soccorso di sindaci e governatori non in grado di far fronte alla propria spazzatura, chiedendo poi soccorso proprio all’Emilia-Romagna”.

Di avviso opposto Giorgio Pruccoli del PD. L’ex sindaco di Verucchio ha ricordato che “l’accordo stabilisce diverse cose: in primis, la cooperazione nel controllo ambientale fra i due enti. Poi, impegna San Marino ad attivare centri di raccolta; a garantire la classificazione dei rifiuti e la loro tracciabilità; a rispettare i limiti previsti e a fornire una relazione semestrale. San Marino potrà fare richiesta di modificare i quantitativi di rifiuti destinati ad essere smaltiti in Emilia-Romagna ma fino a un limite massimo del 20% del totale. Il tutto senza spese da parte della Regione perché San Marino pagherà lo smaltimento di quanto conferito. Inoltre se noi non facessimo alcun accordo con la Repubblica del Titano, siamo sicuri che il bilancio ambientale del nostro territorio migliorerebbe? San Marino dovrebbe dotarsi di un suo inceneritore. Il quale si troverebbe a una manciata di chilometri da quello di Raibano. Oppure dovrebbe dotarsi di una discarica e di certo noi non potremmo chiedere il rispetto di parametri concordati, visto che San Marino è un Paese extra Ue. Insomma, quest’accordo è un atto di buon senso politico e amministrativo”.

Buon senso e lungimiranza che dovrebbero emergere anche a San Marino, per progettare, finalmente, un po’ meglio la propria autonomia rispetto a questi grandi temi. Non si può continuare a “comprare” tutto da fuori e gestire magari anche male il consumo interno.

 

IL “CASO” DI CHIESANUOVA

 

La Giunta di Castello di Chiesanuova ha appreso “con soddisfazione dell’intenzione del Governo, espressa in conferenza stampa dal Segretario con delega all’AASS Marco Podeschi, di ridurre l’uso della plastica. Anche se ci sarebbe piaciuto sapere anche in quale maniera si cercherà di portare avanti questo nobile proposito. La sensibilizzazione – se è di questo che si parla – è assai importante ma, come in altri ambiti, è giunta l’ora delle scelte e di progetti concreti ed incisivi”.

La Giunta fa quindi un esempio pratico, ovvero “l’arrivo, pressoché quotidiano nelle case sammarinesi, di una montagna di pubblicità cartacea ottimamente imbustata in pellicole di plastica. Pur capendo le esigenze logistiche dell’Ente Poste – per il quale è assai più comodo distribuire il materiale pubblicitario attraverso questa metodologia -, non riteniamo più accettabile l’utilizzo di derivanti del petrolio per promuovere prodotti, attività ed eventi. Si tratta di un materiale per la cui produzione, nonostante nasca già come rifiuto, è necessaria tanta energia, con relativa emissione in atmosfera di CO2, principale causa antropogenica del riscaldamento globale. Va inoltre sottolineato che la scelta d’imbustare la posta (pubblicitaria e non) disincentiva la raccolta differenziata da parte del destinatario che spesso – con nessun senso civico – la getta tal quale nella spazzatura indifferenziata. Così facendo si produce, di fatto, un doppio rifiuto”.

Infine “riteniamo che una Società per Azioni interamente partecipata dallo Stato – attualmente in disavanzo di 470mila euro, come da bilancio di previsione – debba fare tutto il possibile per ridurre al minimo la sovrapproduzione di materiali di scarto. Si è infatti arrivato al paradosso che il portalettere arriva con l’auto ecologica per distribuire rifiuti”.

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