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San Marino, popolazione sempre più anziana: è allarme

da Redazione

Oltre alla riforma delle pensioni, posticipata al 2019, occorrerà intervenire anche sulle dinamiche demografiche, che preoccupano sempre di più: aumentano gli over 64 e calano le nascite, mentre la parte più consistente dei lavoratori ha ormai oltre i 50 anni.

pensioni tabella

 

di Daniele Bartolucci

 

Il sistema previdenziale sammarinese continua ad essere messo a dura prova dalle criticità connesse alla sua stessa struttura, ma anche dall’evoluzione (o involuzione) delle dinamiche demografiche di San Marino. Perché se da una parte è stato ampiamente dimostrato che l’impianto attuale è insostenibile economicamente (a meno che lo Stato non sia disposto a doversene fare carico, anche per centinaia di milioni di euro all’anno tra qualche decennio, come hanno evidenziato le proiezioni del gruppo di lavoro incaricato dal Governo), dall’altra è sempre più preoccupante l’invecchiamento generale della popolazione, che significa un futuro in cui ci saranno sempre più pensionati.

Ma non abbastanza giovani lavoratori (l’indice di natalità è diminuito costantemente e repentinamente nell’ultimo decennio) che versino i contributi necessari a pagare le loro pensioni.

L’urgenza di una riforma è quindi sempre più forte, anche se il Governo ha deciso di posticiparla di un ulteriore anno, ma è del tutto evidente che per rendere sostenibile l’intero sistema, occorra intervenire anche in altri ambiti: a iniziare da quello lavorativo, perché occorre migliorare le “entrate”, anche aumentando la base dei contribuenti (più occupati, meglio se con livelli di inquadramento medio alti), ma soprattutto occorre invertire la tendenza che vede sempre meno nascite e sempre meno giovani entrare nel mondo del lavoro.

 

LO SCENARIO: LAVORATORI SEMPRE PIÙ ANZIANI


In particolare, la popolazione in età lavorativa si sta sempre più spostando oltre i 50 anni: come emerso dallo studio “La popolazione anziana della Repubblica di San Marino” dell’Ufficio Informatica, Tecnologia, Dati e Statistica, presentato a settembre dal Dott. Mauro Sammaritani. Nel 1987 c’era una classe di lavoratori più numerosa delle altre che aveva un’età compresa tra i 15 e i 30 anni, nel 1997 questa classe si è spostata tra i 25 e i 35, nel 2007 tra i 35 e i 45 e nel 2017 tra i 45 e i 55. E’ interessante quindi vedere come “l’indice di ricambio, che stima il rapporto tra coloro che stanno per uscire dalla popolazione potenzialmente lavorativa (ovvero in fascia d’età 60-64 anni) e il numero di quelli potenzialmente in ingresso sul mercato del lavoro (fascia d’età 15-19 anni), si presenta in crescita, e quindi in peggioramento, rispetto al periodo precedente e ha registrato un valore pari a 117,61”. Questo si legge nella Relazione Economico Statistica che accompagna la Legge di Bilancio attualmente in seconda lettura in Consiglio Grande e Generale. “Un valore pari a 100”, viene spiegato, “costituisce la soglia d’equilibrio, mentre valori superiori indicano che le uscite dal mondo del lavoro sono superiori alle entrate”.

 

PIÙ PENSIONATI , MA I CONTRIBUTI NON BASTANO

 

Aumentano e aumenteranno quindi i pensionati. E con essi il costo delle pensioni, ma basteranno i contributi versati a coprire questa uscita? Al momento no, e da diversi anni a dire il vero. “Analizzando i dati della gestione del sistema pensionistico ordinario”, si legge nella Relazione, “si può notare che aumenta costantemente sia la spesa per le pensioni ordinarie, sia il numero delle pensioni ordinarie erogate che passano dalle 8.803 del 2016, alle 9.090 del 2017 (+3,3%); praticamente invariato è, invece, l’importo medio per pensionato che passa da € 17.842 del 2016 a € 17.844 del 2017 con un incremento del +0,02%”. Inoltre, “negli anni il numero delle pensioni erogate è costantemente aumentato, passando da un valore complessivo di 8.595 del 2008 a 10.845 pensioni erogate nel 2017 (+26,2%)”. A fronte di questi dati, “i valori registrati nel 2017 evidenziano un tendenziale aumento del divario tra la consistenza del numero dei pensionati rispetto a quella degli occupati negli ultimi anni, evento confermato dal rapporto tra occupati e pensionati pari a 2,35, valore in continua riduzione dal 2008”.

E le previsioni non sono positive, tanto è vero che vengono confermate le proiezioni dell’anno scorso e infatti “tra gennaio a settembre 2018 si sono registrati complessivamente 473 nuovi pensionamenti, numero superiore di 74 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente anno (+18,5%)”, quando erano 399.

 

IL GOVERNO POSTICIPA LA RIFORMA DI UN ANNO

 

Come detto, il montante dei contributi versati ai fondi pensione, non basta a coprire le uscite. Anche per questo la decisione del Governo di sospendere per il 2019 il contributo statale, non è benvisto dai rappresentanti dei lavoratori. “La riforma delle pensioni va fatta. È necessario intervenire perché non è più sostenibile il crescente disavanzo tra entrate e uscite. Su questo al tavolo della concertazione siamo tutti d’accordo”, scriveva in una nota il Governo pochi giorni fa. “Da quando il fondo pensioni dipendenti registra strutturalmente delle perdite, il trasferimento dal bilancio dello Stato ha assunto dimensioni di grande impatto mettendo fortemente a rischio la sua sostenibilità. Con la legge finanziaria 2019 il Governo ha inteso lanciare un segnale molto preciso: è urgente riscrivere le regole del gioco in tema di previdenza. E lo abbiamo fatto non prevedendo per il 2019 i trasferimenti dal bilancio dello Stato ai fondi lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi che per il 2018 corrispondevano a 19 milioni di euro per i lavoratori dipendenti e poco più di 850.000 per gli autonomi”.

In prima lettura il testo della finanziaria recitava così: “Nelle more dell’adozione degli interventi relativi alla riforma del sistema pensionistico il contributo a carico dello Stato per la gestione del fondo pensioni lavoratori dipendenti ed il contributo a carico dello Stato per la gestione del fondo pensioni lavoratori autonomi per l’esercizio 2019, non vengono erogati.

È dato mandato alla Segreteria di Stato per le Finanze ed il Bilancio ed alla Segreteria di Stato per la Sanità e Sicurezza Sociale di sottoscrivere un piano di rientro con il Consiglio di Previdenza, di durata decennale e senza interessi, per il trasferimento di euro 19.000.000,00 per il contributo a carico dello Stato per la gestione del fondo pensioni lavoratori dipendenti”. Ma visto anche lo sciopero generale, non si sa mai che non venga modificato. Di certo non verrà modificato l’impianto del sistema previdenziale, perché l’attesa riforma slitterà al 2019.

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