Home FixingFixing I tanti pesi delle parole. E soprattutto quello che sanno fare

I tanti pesi delle parole. E soprattutto quello che sanno fare

da Redazione

Non ispirano mai fiducia quando nascono da discorsi troppo lunghi. Nella Germania nazista di Markus Zusak la piccola Liesel salva i libri.

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di Simona Bisacchi Pironi

 

Le parole esprimono il mondo di ognuno.

Giocano.

Nascondono.

Mentono.

Fanno capriole.

Rimangono ferme, immutabili, sempre le stesse.

O cambiano in continuazione e le verità di ieri sono le bugie di oggi.

Meravigliano.

Scoprono.

Uccidono.

Non ispirano fiducia quando nascono da lunghi discorsi.

Hanno un peso pericoloso quando nascono dai vocii.

E valgono un tesoro quando nascono dall’esperienza.

Le parole sono argilla, e “l’argilla è necessaria per modellare un vaso.

Ma il suo uso dipende dal vuoto interno che si riesce a creare” scriveva l’antico filosofo cinese Lao Tzu.

Se non si è capaci di stare in ascolto, se non si presta attenzione perché convinti di sapere già, le parole che usciranno dalla bocca non costruiranno un dialogo, non plasmeranno un vaso capace di contenere una relazione, non si produrrà uno scambio reciproco.

Quando, invece, si dedica tempo – e un po’ di se stessi – ad ascoltare, allora si possono creare ponti con le parole, contenitori in grado di racchiudere e proteggere un oceano di storie, potenti come onde.

Le parole richiedono silenzio, per non nascere già corrotte.

Silenzio dei pregiudizi, silenzio della presunzione.

Eppure sono così facili da pronunciare che ci si permette di farle uscire a vanvera, ed è un rischio grosso.

Bisognerebbe quindi prendere spunto dai danzatori: il loro alfabeto è il movimento e non si possono permettere di sprecarne nemmeno una lettera, perché ogni gesto richiede un grande impegno per essere realizzato, facendo apparire semplici degli sforzi al limite dell’umano.

Le parole dovrebbero imparare a danzare.

Dovrebbero contenere quella leggerezza, quella delicatezza del conforto, anche in mezzo alle fiamme.

Perché le parole non possono bruciare.

Hanno provato a bruciare i libri.

In “Storia di una ladra di libri” Markus Zusak racconta i grandi roghi di volumi della Germania nazista e della piccola Liesel che li salvava di nascosto.

Secondo Ray Bradbury non è finita, ci proveranno ancora in un ipotetico futuro, e lo descrive con dovizia di particolari in “Fahrenheit 451”, dove i pompieri hanno il compito non di spegnere ma di appiccare il fuoco nelle case di chi si azzarda a nascondere libri, in un mondo in cui la lettura è proibita.

Le parole non sono fatte di carte.

Non temono un fiammifero.

Ma se perdono il loro significato.

Se vengono pronunciate inutilmente.

Se a un verbo non corrisponde più un’azione.

Allora le parole sono destinate a diventare fumo.

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