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Repubblica di San Marino, pensioni “tassate” come ai lavoratori

da Redazione

Slitta al 2019 la riforma complessiva del sistema, oggi insostenibile. Il Governo però pensa già in finanziaria di intervenire sull’abbattimento forfettario, abbassandolo dall’attuale 20 al 7% per un massimo di 2.800 euro.

tabella pensioni

 

di Daniele Bartolucci

 

La riforma delle pensioni slitta al 2019, ma qualche intervento sui pensionati si vedrà già in finanziaria. Il Governo sembrerebbe quindi aver accettato di buon grado l’invito a non avere troppa fretta per metter mano alla normativa generale, stante la delicatezza dell’argomento. Ma anche tenuto conto del rapporto con i sindacati, mai così tesi dalle elezioni. Non è un caso che lo “stop” sia stato preannunciato negli incontri con i sindacati, che si sono svolti prima di quelli con le associazioni di categoria. Uno stop che però è solo temporaneo, anche perché i numeri in campo sono noti e la situazione è drammaticamente urgente: il sistema previdenziale, così costruito dalle ultime riforme, risulta insostenibile per molti aspetti, a iniziare da quello economico: il gap tra contributi versati e prestazioni erogate è in rosso da anni e sarà sempre peggio, stando alle proiezioni dello stesso Governo, presentate mesi fa. Ma ancora peggio è la rottura del patto intergenerazionale, per cui i lavoratori di oggi arriveranno ad una pensione non solo più tardi dei loro predecessori, ma anche più bassa, nonostante il fatto che avranno contribuito di più (le aliquote oggi sono più alte di un tempo) e per più anni. Un bel banco di prova per qualsiasi Governo, insomma, chiamato a riequilibrare conti e rapporti tra intere generazioni di lavoratori. Una sfida che anche il Governo targato Adesso.sm ha messo tra le priorità del proprio programma, ma che non è ancora riuscito a portare a compimento, nonostante – di questo va dato atto – sia stato formalizzato più di un documento preparatorio con statistiche, dati attuariali e proiezioni molto chiare ed efficaci.

 

ALTRI SEI MESI DI CONFRONTO


Di fatto, le scadenze predisposte in passato non sono state rispettate, ma il Governo questa volta ha deciso di non forzare la mano, riaprendo il confronto con le parti sociali. Per farlo ha già delineato una road map, con scadenze puntuali, per arrivare ad una bozza nei prossimi medi e avviare la fase legislativa entro la primavera estate.

 

SUBITO TASSAZIONE E TRASFERIMENTI SOSPESI

 

Ma mentre il dibattito sulla riforma vera e propria si sta avviando in questi giorni, qualcosa il Governo vuole già mettere in cantiere in vista della prossima Legge di Bilancio. Un intervento molto atteso, peraltro all’insegna dell’equità, è quello della modifica dell’articolo 26 della Legge 166/2013: il progetto prevede infatti di assimilare il trattamento fiscale dei lavoratori dipendenti a quello dei pensionati, abbassando l’abbattimento forfettario sui redditi da pensione dal 20% al 7% e sino ad un massimo di 2.800 euro. In questo modo si dovrebbe anche evitare lo “spiacevole” fenomeno dei redditi da pensione più alti di quelli dell’ultimo stipendio percepito.

L’altro intervento che il Governo ha ipotizzato e su cui ci sarà invece da discutere parecchio, è la sospensione del contributo statale verso il Fondo dei lavoratori dipendenti. Si parla di una soglia di 19 milioni di euro, sotto la quale lo Stato non trasferirà nulla al fondo pensione per i prossimi tre anni. Va da sé che ciò – in mancanza di altri interventi strutturali, obbligherà la gestione a utilizzare la riserva tecnica, andando a erodere il patrimonio accumulato in maniera molto rapida, sicuramente più veloce di quella prevista dalle analisi tecniche del Gruppo di lavoro incaricato al tempo di evidenziare le criticità del sistema.

 

SENZA RIFORMA SARÀ ROSSO PROFONDO


Se non verranno approntanti i necessari correttivi, come detto, il saldo previdenziale tra contributi versati e prestazioni erogate, dagli attuali 24,5 milioni passerà presto a 100 (tra dieci anni), poi a 200, 300 e oltre 400 milioni di euro nel 2049. Una cifra incredibile, che ha fatto strabuzzare gli occhi ai membri del Consiglio di Previdenza quando sono stati presentati i dati reali e le proiezioni future, oltre un anno fa. Il problema è che anche innalzando l’età pensionabile a 67 anni e portando la quota anzianità da 100 a 103, si prenderebbe solo una decina di anni di tempo in più. Più incisivo il passaggio al contributivo, ma non basterà. Gli errori del passato, perché di errori è obbligatorio parlare, ora pesano come macigni sulla testa dei lavoratori, ma anche sul Bilancio dello Stato, perché il contributo statale potrebbe essere l’unica via per il sostentamento del sistema. Ma in questo momento il Bilancio dello Stato non ha “soldi in più”, anzi, ne deve recuperare parecchi e l’idea di sospendere il trasferimento per 3 anni va in questa strategia. Del resto il Governo non ha mai nascosto che uno degli obiettivi principali della riforma deve essere quello di ridurre il peso del sistema pensionistico sul Bilancio dello Stato. Questo però mette a rischio la tenuta dei conti dei Fondi pensione, che sono già oggi in difficoltà, come detto, perché le prestazioni erogate superano i contributi incassati.

Di fatto, si preannunciano tempi duri per il Fondo pensioni: basti pensare che senza interventi strutturali, la famosa riserva tecnica oggi allocata in maggior parte nelle banche sammarinesi (fondamentale per la liquidità del sistema finanziario, ndr), potrebbe esaurirsi in una decina d’anni, precisamente nel 2029. Si tratta di oltre 430 milioni, che potrebbero invece servire per sostenere la riforma nel tempo, ma che stando così le cose si esauriranno molto velocemente, più di quanto si era immaginato solo qualche anno fa.

E senza questa riserva, l’unico modo per sostenere le pensioni sarà ricorrere al Bilancio dello Stato. Ma anche qui sono dolori: già l’anno scorso si è preventivato un concorso statale di 31 milioni, in futuro potrebbe schizzare fino a 392 tra meno di 50 anni. Allo stesso modo, mantenendo costante la crescita di San Marino (economica e demografica, quindi con pochi lavoratori e pochissimi nuovi nati per sostituire chi andrà in pensione domani), il saldo previdenziale tra i contributi versati e le prestazioni erogate, dagli attuali 24,6 milioni di passivo, potrebbe arrivare anche a superare i 400 milioni. Un rosso difficilmente gestibile.

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