Il giornalista a “Hybris. Discorsi sulla tracotanza e sul tramonto” di Pangea.news.
di Alessandro Carli
Juventino DOC – ma della sua fede calcistica, Giampiero Mughini, ospite del primo appuntamento di “Hybris. Discorsi sulla tracotanza e sul tramonto”, non ne ha parlato -, difensore roccioso del libro cartaceo a tal punto di essere un grande collezionista. Ovviamente, per lui, il formato digitale è in panchina, se non addirittura in tribuna. Titillato da Davide Brullo, Direttore di Pangea.news (il giornale online che ha organizzato il mini-cartellone di incontri), il giornalista, scrittore e opinionista italiano è stato “al gioco”, rispondendo all’incalzo delle domande.
Brullo, autentico segugio, scava nel passato. Dino Campana, “I canti orfici”. Mughini si illumina. “Marradi è un piccolo paese dell’Appennino. La casa dei Campana si trova lungo un fiumiciattolo. Secondo uno studioso del poeta, Campana dettò le sue poesie a un Mughini. Gino Mughini, mio padre, che era nato lì nel 1899. La casa natale di mio padre stava a un centinaio di metri da quella dei Campana. Nel 1914 papà aveva 15 anni e aveva coltivato l’arte di sopravvivere. Fu lui a battere a macchina ‘I canti orfici’. Possiedo la prima edizione della raccolta, l’edizione ‘marradese’, che fu stampata in 400-500 copie. Il contratto ne prevedeva 1.000 ma Campana non aveva i soldi per coprire l’intera tiratura. Per vederle, andava a piedi da Marradi a Firenze. Poi com’è noto, lo rinchiusero in un manicomio perché lo davano per pazzo. Pagò il fratello affinché ritirasse altre copie. Ne portò a casa 200-300 e le mise sul soppalco della casa lungo il fiume. Durante la Seconda Guerra Mondiale un Comando Britannico occupò la casa. Gli Ufficiali britannici sentivano freddo e si riscaldarono bruciando alcune copie del libro”.
Un “Firmino” italiano, che si ciba di libri materici. “Amo frugare. Non andrei mai nella biblioteca personale di Luigi Di Maio: la vita è troppo importante per sprecarla”. Ma c’è una libreria di un politico piuttosto importante su cui Mughini ha messo gli occhi: quella di Fabrizio Cicchitto. “È l’unico politico della Seconda Repubblica di cui ho il telefono. Nella sua biblioteca c’è il ‘ben di Dio’, molti libri preziosi”.
“Gabriele d’Annunzio è stato un artista, un letterato ma anche uno dei protagonisti della politica per modi e usi” ha spiegato prima di affrontare la forza evocativa della letteratura. “La poesia italiana ha pochi rivali nel mondo. Da giovane l’unico modo che avevo pe viaggiare erano i libri”. Purché non troppo voluminosi. “Piccolo è bello: uno che scrive 500 pagine può dire le stesse cose in 242 pagine”. Mughini poi si sposta nella sua terra natia. “Non so che idea vi siete fatti della Sicilia – ha detto rivolgendosi al pubblico del Musei della Città di Rimini -. Bisogna averci vissuto per capirne l’arretratezza, la sciattezza ma anche l’ospitalità e la fierezza”. In quella Sicilia dei suoi 20 anni Mughini ha cercato qualcuno che gli facesse da “fratello maggiore” o da Maestro “perché volevo sapere. Lessi da siciliano ‘Le parrocchie di Regalpetra’ di Leonardo Sciascia. Sciascia non era siciliano, era dieci volte siciliano”.