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San Marino, il (Mimmo) Jodice della fotografia

da Redazione

La “ricognizione” che il Maestro partenopeo ha scattato 1990 sono visibili all’interno della Galleria Nazionale. Marisa Vescovo: “L’autore immobilizza la realtà per stringerla in un perimetro”.

mimmo jodice

 

di Alessandro Carli

 

Mimmo Jodice è uno dei grandi fotografi della storia della fotografia italiana. Vive a Napoli dove è nato nel 1934. Fotografo di avanguardia sin dagli anni sessanta, attento alle sperimentazioni e alle possibilità espressive possibilità espressive del linguaggio fotografico, è stato protagonista instancabile nel dibattito culturale che ha portato alla crescita e successivamente alla affermazione della fotografia italiana anche in campo internazionale.

“San Marino 1990” è una ricognizione fotografica della Repubblica, realizzata dallo stesso artista partenopeo in occasione della mostra “Confini, Visività e configurazione nel reale”, curata da Marisa Vescovo e parte del Progetto Logge, presso la sede delle Logge dei Volontari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna di San Marino, nel 1990, e che oggi è custodita all’interno della Galleria Nazionale San Marino, inaugurata a luglio.

Mimmo Jodice, in continuità con la propria poetica e con il più ampio discorso artistico dei fotografi di “Viaggio in Italia”, pensa a un’investigazione visiva rivolta ai luoghi di transito, le soglie della Città Stato di San Marino.

Le immagini, 26,7 x 30 centimetri e stampate sulla prestigiosa carta baritata, sono caratterizzate da una dimensione sospesa, che rivela un’assenza all’interno della scena fotografata. La figura umana, infatti, non mai presente, ma è come attesa, in arrivo.

In relazione a questa posizione scrive Marisa Vescovo: “Jodice immobilizza con il suo obiettivo la realtà per stringerla in un perimetro da cui possono emergere limpidamente luoghi che sembrano ancora abitati dal mistero, dai segreti che ancora possiedono e che noi non ‘vediamo’ più”.

I siti ritratti sono così luoghi di transito, passaggio, comunicazione, dialogo tra due ambienti e di cambiamento, luoghi di apertura e chiusura, separazione, differenza, confine. Jodice utilizza il linguaggio specifico della fotografia, avvalendosi rigorosamente del bianco e nero, con l’idea, infine, di sottrarre queste immagini al tempo, posizionarle al di fuori della contingenza per amplificare e restituire un’immagine di San Marino atemporale, congelata, quasi magica.

 

PATRIZIA TADDEI


“Andare Via” è un progetto di Patrizia Taddei nato da un’azione performativa documentata da una serie di fotografie di Vittorio Giardi.

L’azione è stata realizzata dall’artista senza pubblico, all’esclusiva presenza del fotografo. Taddei si fa riprendere nell’atto di distruggere con il manico di legno di un taglierino l’immagine senza confini e trasparente di un territorio geografico che corrisponde a quello di San Marino, lasciando l’immagine del paese a brandelli mossi dal vento (quasi come bandiere) in uno scenario di campagna bruciata, desolata e senza alcun orizzonte. L’artista prima crea, poi taglia e distrugge l’immagine trasparente, romantica, libera, del proprio paese, per attraversarlo e andarsene.
Il lavoro ha una natura metaforica: esprime il desiderio di distruggere e attraversare la visione romantica del “piccolo stato” leggero, trasparente, libero, indipendente.

L’intera attività artistica di Patrizia Taddei (artista fondamentale nella storia dell’arte contemporanea sammarinese, pioniera dei linguaggi sperimentali concettuali) degli anni ’70 è contraddistinta da interventi di arte concettuale, prevalentemente azioni performative, sviluppate e documentate con la fotografia. I soggetti delle sue azioni sono il tempo, la misura, la migrazione degli uccelli, il monte Titano come ombra dell’orologio solare. Le opere, che misurano 18 x 18 cm e che appartengono al tesoro della Galleria, sono state donate dalla stessa artista.

 

SI FEST 2018, “ESSERE ORA”

 

“On Being Now”, tema e titolo di SI FEST 2018 in programma dal 14 al 30 settembre  Savignano sul Rubicone (FC), definisce il campo di indagine della 27esima edizione del festival che, mai come quest’anno, cambia volto.

Le mostre scelte quest’anno dalla direzione artistica rispecchiano questa linea curatoriale caratterizzata dall’innovazione, che punta l’attenzione su artisti di fama internazionale, presentando lavori inediti, mai mostrati in Italia e di ricerca.

“I Want Your Love” è l’autobiografia visiva di Richard Renaldi, il racconto dei momenti più intimi di una vita apparentemente incantata. Partendo dagli anni 70 trascorsi nella natia Chicago, il lavoro segue l’arco di tempo che va dall’infanzia alla mezza età, esplorando cosa significa essere giovani e in perpetua ricerca, trovare e perdere le cose che più profondamente vorremmo conservare.

Murray Ballard ci fa viaggiare tra fantasia e tecnologia con “The Prospect of Immortality”: la serie di immagini sono state realizzate tra il 2014 e il 2016 in un orfanotrofio russo, ancora operativo, in cui vengono portati giovani con disabilità, soprattutto donne che diventano adulte all’interno delle sue mure in completo isolamento. Questo progetto ha dato vita a una vera e propria collaborazione con alcune delle giovani all’interno della struttura. Grazie alla spinta di Carolyn, infatti, le ragazze sono diventate a loro volta artiste e creatrici. La natura, gli oggetti della vita quotidiana e le stesse mura dell’orfanotrofio sono divenuti mezzi per esplorare questioni come il controllo sociale, l’identità individuale e collettiva, la libertà di immaginazione e la normalizzazione del comportamento femminile. Un lavoro estremamente toccante che nasce ancor prima dell’inizio degli scatti grazie alla sensibilità della fotografa nell’entrare nelle vite dei soggetti da lei ritratti.

L’autore belga Max Pinckers, nella sua opera, esplora le strategie di storytelling visivo nella fotografia documentaria e il rapporto tra estetica, immagini e soggetti. L’artista propone sei storie incredibili di persone che hanno fatto scalpore sui media americani, tutte rigorosamente fake, al fine di sottolineare la natura soggettiva e fittizia delle categorie che usiamo per definire il mondo, mettendo in discussione anche i ‘modelli oggettivi’ dei media giornalistici.

Ina Lounguine è un artista ucraina, nata nel 1993 a Odessa, figlia più giovane in una famiglia di attivisti e intellettuali, cresciuta con grande curiosità e consapevolezza, portando avanti i suoi studi artistici alla Ukrainian Academy of Arts. Nel lavoro in mostra “The Price Of A Black Life In America”, si focalizza sul razzismo partendo dagli eventi di Ferguson e Baltimora. In mostra l’artista presenta anche il video “Chaos Disco” in cui il ballo diventa esorcismo contro i drammi del mondo.

Il programma integrale, che comprende anche il SI Fest “off” e il portfolio in piazza, è disponibile sul sito www.sifest.it

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