Home FixingFixing Le “CFC” nell’ordinamento tributario italiano e le scelte imprenditoriali

Le “CFC” nell’ordinamento tributario italiano e le scelte imprenditoriali

da Redazione

In particolare riguarda i soggetti residenti in Italia che detengono partecipazioni in società estere. L’analisi, pubblicata su “Fiscalità e Commercio Internazionale”, è firmata da Antonio Erario e Andrea Angelini.

CFC

 

di Alessandro Carli

 

L’attuale disciplina italiana inerente le “Controlled foreign companies” (CFC), così come modificata dalla Legge di stabilità del 2016 (Legge 28 dicembre 2015 n. 208) ha trovato spazio nel numero 6/2018 della rivista “Fiscalità e Commercio Internazionale – Wolters KluWer Italia”: l’attenta analisi porta la firma di Andrea Angelini e Antonio Erario.

Si tratta di un argomento di interesse per tutti gli imprenditori che hanno effettuato investimenti in Paesi esteri (anche nella Repubblica di San Marino quindi); in particolare riguarda soggetti residenti in Italia che detengono partecipazioni in società estere.

Tale circostanza è molto comune dato che le nuove tecnologie informatiche, sia di telecomunicazione che produttive, la sempre maggiore mobilità dei fattori della produzione e l’avvento dell’era digitale hanno notevolmente favorito lo sviluppo del commercio a livello mondiale. Le imprese operanti a livello internazionale hanno oggi a disposizione una molteplicità di soluzioni e di strumenti per conseguire vari progetti di internazionalizzazione, che vanno dall’esportazione dei loro prodotti/servizi, alla costituzione di nuove entità giuridiche direttamente nel Paese considerato strategico, passando per le stabili organizzazioni o l’acquisizione di entità già operanti nell’area geografica target.

La norma contenuta nell’art. 167 del TUIR si rivolge ai soggetti residenti in Italia che detengono, direttamente o indirettamente – anche per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona – il controllo di società o di altri enti residenti o localizzati in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato diversi da quelli appartenenti all’Unione Europea o aderenti allo Spazio Economico Europeo con i quali l’Italia ha sottoscritto un accordo che assicura un effettivo scambio di informazioni.

Tale disposizione prevede che i redditi prodotti dalle suddette società o enti sottoposti al controllo vengano tassati “per trasparenza” direttamente in capo al socio in proporzione alla partecipazione detenuta, indipendentemente dal fatto che la partecipata abbia provveduto alla distribuzione degli utili conseguiti.

Tale previsione normativa viene disapplicata qualora esiste una valida motivazione (che per l’esattezza sono tre e vengono chiamate esimenti): si esclude la regola nel caso in cui la società o altro ente non residente svolga un effettiva attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento; la seconda esimente esclude l’applicazione del regime CFC nel caso in cui dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato; oppure il soggetto residente deve dimostrare che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta esclusivamente a conseguire un indebito vantaggio fiscale.

Attraverso l’istituto dell’interpello è possibile dimostrare e ottenere la disapplicazione del regime CFC. L’interpello è infatti lo strumento con cui l’imprenditore può “confrontarsi” preventivamente con l’Amministrazione Finanziaria italiana, ed in tal caso è la modalità corretta per dimostrare che legittime decisioni strategiche dell’imprenditore non danno vita a una costruzione artificiosa volta esclusivamente a ottenere un risparmio fiscale, ma che sono la sostanza di normali fenomeni di delocalizzazione strategico-produttiva.

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