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San Marino, il manifatturiero investe e traina l’occupazione

da Redazione

Con circa 520 aziende rappresenta poco più del 10% del totale delle imprese, ma da solo occupa più di un terzo dei dipendenti del settore privato e genera tra il 35 e il 40% del PIL.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il traino dell’economia sammarinese è oggi il settore manifatturiero. Lo dicono i numeri: +2,6% di imprese a marzo rispetto a un anno prima, in controtendenza con diversi settori e in generale rispetto al comparto privato ancora non pienamente inserito nella ripresa che sta lentamente ricolorando l’Europa; 5.991 occupati, che rappresentano da soli oltre un terzo dei dipendenti del settore privato. Anche in questo caso, con un trend positivo da qualche anno, segno che le aziende industriali crescono, investono e quindi assumono di conseguenza. E potrebbero farlo più rapidamente e meglio, se messe nelle condizioni ottimali per operare, sostiene ANIS. Una posizione che è corroborata dall’analisi dei dati di bilancio, effettuata su un campione molto rappresentativo delle proprie aziende associate (di diversi settori, non solo manifattura), da cui emergono anche spunti interessanti per capire dove le imprese stiano andando e quali siano le loro reali necessità per crescere.

 

I NUMERI STATISTICI: MANIFATTURA SUGLI SCUDI

 

Se è vero che “il totale delle imprese presenti ed operanti in Repubblica, al 31 marzo 2018, è pari a 5.069 unità registrando, rispetto al 31 marzo 2017, un decremento di 3 aziende (-0,06%)”, riporta il Bollettino ufficiale, “analizzando il trend dell’ultimo anno solare, si è verificato un aumento nel settore manifatturiero (+13 unità pari al +2,6%), mentre Il “Commercio” è in diminuzione (-30 unità pari al -2,7%) così come il settore delle “Attività Professionali, Scientifiche e Tecniche” (-14 unità pari al -1,3%)”. Non solo: “Al 31 marzo 2018 le forze di lavoro complessive sono pari a 22.291 unità e rispetto al 31 marzo 2017 si evidenzia un incremento di 439 unità (+2,0%), imputabile interamente ai lavoratori dipendenti del settore privato, che hanno raggiunto il valore di 15.485 (+3,2%) e, insieme a quelli del settore pubblico, rappresentano l’85,8% della forza lavoro”. Il dato più rilevante è che “i lavoratori dipendenti del settore privato, nell’ultimo anno sono aumentati complessivamente di 485 unità (+3,2%); l’aumento più consistente risiede principalmente nel settore “Attività Manifatturiere” (+304 lavoratori pari al +5,4%), seguito dal settore “Noleggio, Agenzie di Viaggio, Servizi di Supporto alle Imprese” (+80 lavoratori pari al +12%) e dal “Commercio all’ingrosso e al Dettaglio; Riparazione di Autoveicoli e Motocicli” (+68 lavoratori pari al +2,6%). Al contrario, i seguenti settori hanno registrato una marcata diminuzione di lavoratori: “Attività Professionali, Scientifiche e Tecniche” (-57 lavoratori pari al -5,1%) e “Attività Finanziarie e Assicurative” (-50 lavoratori pari al -6,3%). Nel Settore Pubblico Allargato i lavoratori sono diminuiti di 3 unità nell’ultimo anno, assestandosi a 3.740 (+0,08% rispetto al 31 marzo 2017)”.

La sintesi è che con circa 520 imprese, il manifatturiero rappresenta poco più del 10% del totale delle imprese sammarinesi, ma da solo occupa un terzo dei dipendenti del settore privato e genera il 35-40% del PIL di San Marino.

 

COMPETITIVITÀ: PAROLA D’ORDINE SUI MERCATI

 

Più di altri settori, il manifatturiero vive la complessità del mercato globale, dove la competizione è fortissima e non si può perdere un solo secondo di tempo (o centesimo di euro) a causa di ritardi tecnologici, ma anche burocratici. Se si comprende questo, è anche facile individuare i punti deboli del sistema San Marino, che tolgono competitività alle aziende manifatturiere, costrette di fatto a non poter crescere come vorrebbero. Il primo problema è rappresentato dall’interscambio, in particolare nell’Unione Europea: nonostante l’accordo doganale, infatti, le aziende che trattano con clienti e fornitori europei hanno una via obbligata e si chiama T2, che comporta quindi oneri burocratici ed economici maggiori rispetto ad un’azienda insediata in un Paese UE. In alternativa debbono ricorrere al rappresentante fiscale, secondo una procedura altrettanto onerosa, in pratica. E comunque è una complicazione in più rispetto ai competitor.

Ovviamente gli “ostacoli” sono anche altri, ma questo è un esempio importante, perché per raggiungere l’obiettivo occorre costruire ovviamente un accordo con l’UE (vedasi la trattativa in corso per l’associazione), ma anche presentarsi nel migliore dei modi, magari avendo anche l’Italia dalla propria parte (e quindi avendo cura di mantenere rapporti costanti e ottimali tra i due Paesi).

 

INVESTIMENTI, MA POCO ACCESSO AL CREDITO

 

Come dimostra l’analisi effettuata dal Dott. Simone Selva per ANIS, le aziende associate hanno una buona capacità di investimento in equity e asset e questo si mantiene nel tempo, ma allo stesso modo appare evidente che per realizzare tali investimenti non ricorrano quasi mai all’indebitamento verso terzi, utilizzando risorse proprie.

Questa “anomalia” ha diverse spiegazioni, o per meglio dire ipotesi, ma il dato di fatto è che la percentuale di debito è bassissima. In una dinamica corretta, le banche prestano soldi e le imprese investono, crescono, generano profitto e ripagano le banche del credito concesso: per cui qualsiasi azione mirata a far ripartire il settore bancario, ristrutturarlo, renderlo più efficiente perché sia in grado di sostenere gli investimenti delle imprese, è più che condivisibile.

 

MERCATO DEL LAVORO PIÙ SNELLO E VELOCE

 

La fotografia del mercato interno del lavoro sammarinese è abbastanza chiara ormai: spesso le competenze che le aziende necessitano per crescere non ci sono e quindi occorre acquisirle altrove. Questo non significa che l’assunzione dei sammarinesi sia messa in secondo piano, anzi, nel settore manifatturiero è vero il contrario, visto che la maggior parte dei dipendenti risiedono in territorio.

Nonostante questo, l’ultima modifica alle “regole del gioco” ha di fatto previsto una sorta di “liberalizzazione a pagamento” che se da un lato permette l’assunzione della figura prescelta in via diretta, dall’altro aumenta il costo del lavoro in maniera consistente. Per capire come queste dinamiche siano effettivamente importanti per un’azienda, basta osservare la levata di scudi di tutte le maggiori associazioni di categoria italiane all’indomani del “Decreto Dignità” del Governo M5S-Lega appena varato: le imprese, se penalizzate, non assumono.

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