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I percorsi post-diploma per entrare nel lavoro

da Redazione

L’Italia conta 10 mila iscritti agli ITS, in Germania sono 1 milione. Assunzioni oltre l’80%: potenziali opportunità anche per San Marino.

 

di Alessandro Carli

 

A fine giugno “Focus economia” di Radio 24 ha effettuato un viaggio nel mondo degli Istituti Tecnici Superiori che hanno ottenuto i risultati migliori. L’istantanea, utile per capire il successo degli ITS, è sotto gli occhi di tutti: Università che spesso hanno un mismatch con il mondo del lavoro, disoccupazione giovanile oltre il 30% e aziende che non trovano giovani formati sotto il profilo tecnico da inserire nell’organigramma.

“Vorrebbero assumerli, ma non li trovano. Si stima che saranno 150mila nei prossimi cinque anni i tecnici richiesti nei settori chiave della meccanica, della chimica, del tessile, dell’alimentazione e dell’ICT” commenta Radio 24.

Gli Istituti Tecnici Superiori, percorsi post diploma professionalizzanti di due anni, sono un’alternativa validissima all’università per gli studenti interessati a entrare rapidamente nel mondo del lavoro. Lo dicono i dati: l’82,5% dei diplomati nel 2016 ha trovato infatti un posto entro un anno dal diploma – spiega la radio di Confindustria – soprattutto nell’area della mobilità sostenibile, delle nuove tecnologie per il made in Italy, del sistema meccanica e del sistema moda.

Gli ITS sono una realtà che sta muovendo i primi passi sul suolo italiano: gli iscritti sono poco più di 10 mila, in Germania invece le analoghe “Fachhochschulen” accolgono già circa un milione di studenti. Il rapporto è di 1 a 100.

Uno spunto che potrebbe rivelarsi prezioso per la Repubblica di San Marino: cercare di captare le tendenze – oltreconfine i distretti professionalizzati sono tanti, si pensi alla Motor Valley o alla Tiles Valley in Emilia-Romagna, ma anche al settore turistico della Riviera – e creare percorsi formativi ad hoc.

 

I COSTI DELLA FORMAZIONE


In Italia gli ITS non sono scuole pubbliche: gli studenti selezionati (circa 20-25 per classe) comunque non devono pagare nulla.

Le risorse arrivano dal Miur, dalle Regioni, dall’Europa e dai privati. La legge di bilancio, va detto, ha previsto un lieve aumento dei fondi pubblici: 10 milioni per il 2018, 20 per il 2019 e 35 per il 2020. Il meccanismo di finanziamento annuale è semplice. Attraverso un fondo ad hoc il ministero dell’Istruzione eroga il 70% del contributo sulla base del numero dei ragazzi ammessi al secondo anno (o in caso terzo anno) e del numero di ammessi all’esame finale. Il restante 30% va invece alle Fondazioni che ottengono i migliori risultati.

Per legge la spesa massima prevista per un percorso è 300 mila euro. Significa che il costo massimo di un ragazzo, considerate le classi da 20 studenti, è 7.500 euro l’anno.

I corsi hanno una durata biennale o triennale per un totale di circa 1.800/2.000 ore. Più o meno un terzo del tempo (30%) deve essere speso in uno stage obbligatorio all’interno di un’azienda. Per accedervi, i candidati in possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore (così come i docenti che volessero insegnare in questi istituti e che per il 50% vengono dal mondo dell’impresa) devono superare un attento esame che si divide in una parte di cultura generale e in una prova tecnica seguita da un colloquio motivazionale. Alla fine dell’intero percorso, la qualifica è quella di Tecnico Superiore che corrisponde al V livello del Quadro europeo delle qualifiche.

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